(Svart Records) Nuovo album per questi eclettici, strani e deviati norvegesi. Sempre epici, dannatamente folkloristici, superbamente vintage (70s), progressivi all’inverosimile, ma anche psichedelici… uno stato mentale provocato dalla natura e non dalla chimica di laboratorio, una dipendenza da sostanze eco sostenibili, scovate nei meandri della tradizione e sintetizzate con la conoscenza di secoli di evoluzione. “Riset Bak Speilet” (recensione qui) nel 2014 mi sorprese e coinvolse. Ma fu il capolavoro “Ført Bak Lyset” (recensione qui) dell’anno scorso a farmi uscire di testa, dando vita ad un album (per me un vinile…c’è differenza) superlativo, un vinile che tutt’oggi trova frequentemente posto sul mio ingordo giradischi. Pertanto, il nuovo lavoro lo attendevo con trepidazione… ma anche quella tipica paura che si materializza dopo una grande disco, la terribile paura della delusione. Una delusione che per i primi 10-15 ascolti, devo essere sincero, c’è stata. Ma non dimentichiamoci che i Tusmørke non fanno musica semplice, non si tratta di cose immediate, siamo pur sempre nell’ambito del progressivo di alta gamma. Inoltre a loro, basta guardarli in faccia, non può fregare meno del pensiero degli altri, il mio compreso, in quanto fanno ancora parte di quegli artisti che creano arte per creare arte, senza seguire le spietate regole del mercato e del business. “Ført Bak Lyset” aveva una caratteristica pazzesca: era prog, folk, strano, pieno di sonorità etniche… ma era incredibilmente catchy. Un disco che ti entrava in testa come un proiettile, per non uscirne più scatenando una emorragia inguaribile, incontenibile. E per giunta, il tutto era nascosto dietro una copertina semplicemente stupenda. Il nuovo “Hinsides” (il titolo significa “al di là di…”, “oltre…”) invece parte con una copertina meno curata, più diretta, più scarna anche se espressiva e descrittiva. Infatti il disco intero parla della morte, in una forma o l’altra, sia essa fisica o metaforica. Dopo la vita, dopo i sensi. Morte semplice, violenta o morte a causa di eccessi provocati da sostanze, poesie, suoni, atti eroici o virtù. “una fine violenta dell’insonnia” dicono. E pure “un’esistenza futile che affronta l’apocalisse”. Il tutto con un mosaico di riti funebri che consegnano all’aldilà morti sconosciuti e cari scomparsi. Ma siamo lontanissimi da atmosfere funeree, da concetti doom, e pur da qualsivoglia rapporto con il metal. Loro sono e rimangono i Tusmørke e la loro arte è diversa, unica, pagana e distintiva. “Hjemsokte Hjem” è pulsante, travolgente ma introduce anche (o la conferma) una teoria folk-dance stranissima, passando per il psichedelico a tinte pop, con un finale decisamente Hawkwindiano. “I Feel Like Midnight”, unico brano non in norvegese, è inquietante e collega il folk con il digitale, arrivando a connotati pseudo tribali. Sensuale e luminosamente decadente “Rykende Ruin”, magica e dolce “Lyssky Drom” prima della immensa conclusiva “Sankt Sebastians Alter”, un brano di quasi ventiquattro minuti scritto, a detta della band, in occasione del 666esimo anniversario dell’arrivo della peste in Norvegia (evento risalente al 1349, quindi il brano è stato scritto nel 2015). La canzone spazia nel tempo, dal medioevo agli anni settanta, vagando a casaccio nei secoli di futuro non ben definito o ubicato nel tempo. Un disco strano. Capace di sconvolgere e crescere ascolto dopo ascolto, diventando più ampio, più diffuso, proprio come un’epidemia fuori controllo. I Tusmörke sono strani. Hanno facce strane. Suonano musica strana. Con strumenti strani. Sono geniali, perversi, oscuri in una forma che assorbono la luce e la rendono propria, diffondendola -poi- cosmicamente amplificata nell’ambiente circostante. Evitano definizioni o le inglobano tutte. Evitano l’ovvio, anche se loro sono -ovviamente- superlativi. Semplicemente evitano la normalità e la monotonia, le evitano come la peste. Con la loro musica creano una dimensione spazio temporale tutta loro, vergine, inesplorata, attraente ed inquietante. Ed invitano tutti a farci un giro turistico, una vacanza più o meno lunga la quale, per i segni indelebili che lascia, si preannuncia assolutamente indimenticabile.

(Luca Zakk) Voto: 9/10