(Century Media) Moniker russo, origini tedesche. Sono al secondo lavoro e vantano concerti con gente nota del metal core (tipo i Bring Me The Horizon) e pure partecipazioni ai maggiori festival europei. Sostanzialmente siamo proprio in campo metal core, ma con alcune interessanti differenze come certe componenti digitali ricercate, una variante progressiva non scontata, non ovvia ed un vocalist con un vasto range, sempre dinamico e capace di una interpretazione avvincente. Un sound sempre pompato, in un certo senso epico e trionfale. Concettualmente, come di norma in questo genere, si esalta lo schifo umano, lo schifo della vita moderna, così fredda e frettolosa, così priva di basi e valori. Loro stessi descrivono il disco con lucidità, parlando di un’epoca dove tutto, ovvero pensieri e sentimenti, è fottuto. Sappiamo ogni cosa ma non conosciamo nulla. Abbiamo informazioni, frenesia, app e tecnologia… pensiamo a come sarebbe, cosa sarebbe, al traguardo successivo senza nemmeno godere di quello del momento, il quale forse è immenso già di suo. Un umanità ‘disperatamente disperata’, torturata dall’informazione costante ma spiccia, violentata da valori sventolati come quelli assoluti ma sostanzialmente privi di consistenza. Un nuovo mondo? Quindi anche un nuovo tipo di amore, come recita proprio il titolo della release. Complessa, catchy e travolgente “In Pieces”. Spietata e crudele “SCUM” (in maiuscolo!). Irrequieta “D(e)ad”, coinvolgente l’utopica “No One As Master No One As Slave”, un brano cantato con passione, ricco di vibrazioni, con linee di basso provocanti. Ricca di sorprese, ma anche molto legata a ritmiche metal tradizionali, l’ottima “Roses”, mentre la title track affonda il piede su un metal deviato, un po’ groove, un po’ industriale. Interessante “Six Six Sick”, brano strano, pesante ma anche epico, con un ritornello molto deviato. Sono pochi gli album metal core che mi attirano. Che mi convincono. Che mi rivelano qualcosa. La violenza intelligente dei Vitja però è immediatamente convincente; se poi sommiamo la fantasia, la capacità tecnica di ogni membro ed una palese dote nel comporre canzoni espressive, dirette ma anche in qualche modo catchy, allora questo album esce dai confini di un genere che spesso non attira i puristi del metal, e si colloca in una dimensione propria, marcando il territorio, delineando dei confini entro i quali la musica torna ad essere arte sonora e non accompagnamento di un’immagine tanto decadente quanto falsa… l’immagine di tante band giovani e moderne che in fin dei conti rientrano nella descrizione dell’umanità fatta dai Vitja, una descrizione che vede il mondo occupato da esseri, pensieri e sentimenti privi di sostanza. Da parte loro, invece, i Vitja sanno essere giovani ed attuali, ma dimostrano una maturità molto ben sviluppata, come un’ottima capacità di osservazione e composizione di punti di vista ed idee personali.

(Luca Zakk) Voto: 8/10