“Is This the Life We Really Want?”, assolutamente no, non è questa la vita che vogliamo! Per quanto di fatto il destino dipenda dal singolo individuo, in questa vita non tutti noi ci veniamo messi dentro un po’ a forza.

La vita di Roger Waters inizia il 6 settembre del 1943 e vent’anni dopo è tra i fondatori dei Pink Floyd. Da allora Waters ne ha fatta di strada con la band. Nel 1984 pubblica il suo primo secondo album solista “The Pros and Cons of Hitch Hiking”, soprattutto però quello fu il suo primo lavoro post Pink Floyd. Formalmente lasciò la band nel 1985, attraverso una vera e propria guerra legale che si è risolse solo molti anni dopo.
Waters da solista ha pubblicato album di grande effetto, concettualmente importanti e con uno stile sempre marcatamente personale. Anche l’attività concertistica dell’ex Pink Floyd è stata ricca di soddisfazioni per Rog, il quale si è spinto verso spettacoli sempre più scenograficamente elaborati, ricchi e con scalette che riprendevano anche pezzi dei Pink Floyd arrangiati con una certa maestria e un’inventiva inaspettata.
La voce che Waters fosse prossimo a un nuovo album, l’ultimo è di dodici anni fa, iniziò a girare nel periodo in cui Donald Trump era ormai prossimo alla sua ascesa verso la presidenza degli Stati Uniti. Qualcuno magari ha visto la cosa come un segno, come l’imperdibile opportunità per lo stesso bassista inglese di cimentarsi con un nuovo e forte messaggio musicale che bersagliasse un potente di turno o un sistema che lo promuoveva. Oppure è stata solo una semplice ma stuzzicante coincidenza.

La copertina di “Is This The Life We Really Want?” si rifà agli ‘omissis’ che circolano nei documenti secretati ed è costruita con una grafica che per colori e linee riportano alla mente “The Wall” ma anche “Radio Kaos”. Nella musica dell’album si rintracciano tutti i connotati tipici delle composizioni di Waters e non potrebbe essere altrimenti: a 74 anni sei e resti te stesso e anche in fatto di musica. Riecco il suo timbro vocale, sia nei toni del parlato che in quelli del cantato, a cui si affianca la musica, magari l’orchestra o i synth che la simulano, anche se il supporto orchestrale avviene in una misura maggiormente contenuta rispetto ad altri suoi lavori del passato. “Is This the Life We Really Want?” è realmente un album rock, per quanti siano rintracciabili i segni di natura Pink Floyd (gli orologi, le voci di sottofondo, le esplosioni) o quelli di natura Roger Waters, questo album è davvero un album di musica rock, con tutte le sue sfumature più energiche e quelle modulate. Ci sono i suoni che svaniscono in esplosioni, il costante timbro cupo che ammanta la musica, il basso che cadenza come in alcuni momenti di “Animals”, album poco amato nel 1977 quando uscì, ma dannatamente avanti dal punto di vista testuale e dell’allegoria, la quale Roger Waters costruì sul modello de “La Fattoria degli Animali” di Gerorge Orwell. Oggi si comprende quanto grande possa essere ‘l’album con il maiale in copertina’ e in “Is This the Life We Really Want?” c’è anche una parte del concetto di “Animals”, mentre musicalmente la canzone “Picture That” gli si ricollega sfacciatamente. L’ascolto è una piacevole assonanza con quanto è sempre stato, con quanto ha sempre detto e suonato George Roger Waters. Anche la chitarra che poteva essere suonata in tutti i modi possibili e invece no, è stata suonata alla languida maniera del suo ex chitarrista e nemico ma ora pacificato David Gilmour quando era nei Pink Floyd. Si avvertono anche alcuni tocchi delle tastiere non distanti dal compianto Richard Wright, nonostante poi proprio le tastiere e soprattutto il piano rivangano quel suonare docile e perfetto soprattutto nei momenti in cui il cantato di Rog è un parlato, una narrazione musicata.
I suoni e l’atmosfera generale restano indissolubilmente legati ai testi delle canzoni, ne dipendono, sono l’aspetto esemplare dell’intera produzione di Roger Waters. Una “Wait for Her” è in orbita “The Final Cut”, l’ultimo album dei Pink Floyd con Waters, il primo in cui il bassista calca la mano con un poetica testuale astiosa, cinica, a tratti crudelmente ironica, ma sempre terribilmente chiara.
Con Roger Waters nei testi non si interpreta nulla e al diavolo quelle situazioni dove l’autore va a raccontare che nei suoi testi ognuno può ritrovarci qualcosa di se stesso e della propria vita. Lui dice e a voi resta il diritto di ascoltare e leggere, oppure di rivolgervi altrove.

“Is This the Life We Really Want?” è la guerra, il disagio di un bambino o di un figlio, le miserie dell’uomo, la morte. I potenti e i loro atteggiamenti e le persone semplici che con le proprie difficoltà o i loro errori che a volte proprio ai potenti guardano, riprendendone sembianze, parole e azioni. Waters non fa altro che raccontare questo da tempo immemore. Nel 1944 il padre di Waters muore durante lo sbarco di Anzio. Roger aveva solo pochi mesi, ma quella tragedia lo segnerà, subendola ma innalzandola anche a simbolo. Rielaborando l’evento all’interno del suo percorso di musicista, l’essere orfano di padre diventa la metafora delle vittime di potenti e ancora di più di dell’umanità che ormai è orfana di valori e figure guida.
Tutto quello che scorre in “Is This the Life We Really Want?”continua sulla stessa riga di sempre, attraverso autocitazioni, testuali e musicali. Attenzione però, perché questa non è una novità, Waters lo ha già fatto in passato e con gli stessi termini, gli stessi suoni, lo stesso songwriting e arrivati al 2017 di cosa ci si accorge? Che Waters non è mai cambiato, nonostante i successi discografici, le critiche, le polemiche con i suoi ex compagni e la serena e riconciliata amicizia con essi, ma anche dopo due figli, matrimoni, divorzi e una nuova compagna. Waters resta se stesso, a suo modo, politicamente attivo, apertamente schierato e umanamente incredulo e sofferente per le miserie e gli orrori che ci circondano.

(Alberto Vitale)