(code666) Travolge ed annienta il quarto lavoro degli islandesi Dynfari (leggi qui la recensione del precedente “Vegferð Tímans”). Il loro genere orientato attorno ad un black a tratti violento, a tratti atmosferico, non nega divagazioni post rock, esaltazioni quasi folk con aperture melodiche e scenografiche intense, le quali danno vita ad un concept album che fonde le teorie sul genere umano dello scrittore di romanzi Patrick Rothfuss, con la poesia di Jóhann Sigurjónsson. L’album non si pone limiti: un cantato quasi grezzo (per la maggior partein Islandese) si fa circondare da atmosfere sia metal che post metal, sia ambientali che aperte a strumenti come la chitarra acustica, la fisarmonica ed altri strumenti tipicamente etnici. Immensa e ipnotica la lunghissima “4th Door: Death”. Coinvolgente e a tratti violentissima “1st Door: Sleep”, letale il mid tempo cadenzato di “Sorgarefni segi eg þér”, brano oscuro, pensate, con un singing quasi clean capace di torturare la mente. Intensa la relativamente ‘breve’ “2nd Door: Forgetting”, superbo l’unplugged folk con spoken words in suggestivo islandese di “Sorg”. Immensa e contorta “3rd Door: Madness”. Vengono in mente i Panopticon, i Waldgeflüster, anche gli Skogen, pure gli Inferno, fino ad arrivare agli Árstíðir lífsins. I Dynfari sono una bands senza regole fisse, dominata da uno spirito libero. Loro sorprendono, devastano, sconvolgono. “The Four Doors of the Mind” è immenso, strano, contorto… e non segue un vero percorso … se non una intrinseca decadenza che avvolge in senso assoluto, tinge di oscuro, cattura, ingoia… soffoca… ma esalta.

(Luca Zakk) Voto: 9/10