(Innerstrength Records) Il merito dei The Modern Age Slavery è quello di avere disegnato un proprio stile in almeno dieci anni di attività. La parabola di stile ha tracciato una traiettoria ascendente, rimarcata già con il precedente e secondo album “Requiem for Us All”. Il death metal della band emiliano-romagnola è diventato più composto in questi anni, ha basato tanto di se sul ritmo e non solo per via del lavoro micidiale che Stefano Brognoli prima e Federico Leone oggi, e chi prima di loro, sviluppano allo strumento percussivo. La batteria srotola tappeti ritmici di un certo tasso tecnico, strutturati in segmenti che creano di fatto delle accelerazioni, stop and go, ritmiche assassine e tempi balbuzienti che si incollano proprio a quanto creano le chitarre. Le sei corde sono il resto di questa grossa architettura che vede il death metal passare da uno stampo thrash, fino al death metal canonico con iniezioni di groove e spinte improvvise verso un brutal prossimo ai Cannibal Corpse e con concessioni al deathcore. Il risultato è un dinamismo lavorato, con soluzioni che non sprecano il riffing e i tempi. A contorno di tutto ciò anche dei synth per ingigantire la potenza sonora, inserendo momenti di stampo symphonic death-black. “The Theory of Shadow” ne rappresenta bene questo aspetto, pur non essendo la sola canzone a farlo. La capacità di lavorare finemente i pezzi e la loro vasta struttura, sia in termini di parti che arrangiamento, è l’ulteriore passo in avanti per i The Modern Age Slavery, rispetto al proprio passato anche più recente. Una violenza cinica, espressa con lucidità, resa ancora più chiara grazie al cantato di Giovanni Berserk, il quale scivola pochissime volte nel growl, restando con le strofe su un piano lirico comprensibile.

(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10