(Dark Descent Records) Ecco un esempio di magistrale black/death metal che suona come un’ondata distruttiva e che raramente placa la propria violenza nei 37′ di musica che i Paroxsihzem infondono in questo debut album, enfasi delle tenebre e dell’esaltazione di una bestialità subdola. Ogni canzone possiede queste caratteristiche, oltre ad un drumming che sprigiona blast beat a raffica, mid-tempo a seguire e una doppia cassa che sembra il motore di un caterpillar, il tutto però soffre la produzione che ha messo The Desolate One (il nome di battaglia del batterista) un po’ dietro al reticolo del guitarworking e al torbido growling di Krag. Le chitarre sono imponenti come le rocce di una roccaforte, le distorsioni sono cupe e creano una densa e dissonante nube tremolante che genera atmosfere degne della morte. Un genere di suono che forse non si guadagnerà il consenso di tutti i possibili ascoltatori, ma almeno caratterizza in modo univoco il sound che i canadesi si sono proposti di definire. Qualche passaggio ricorda l’imponenza dei Bolt Thrower, ma loro non sono così death metal, infatti ai Paroxsihzem le dita sulle chitarre scivolano più velocemente e il loro istinto è si battagliero, ma anche votato alla sacralità selvaggia del black metal. “Paroxsihzem” tuttavia è un album che va anche oltre la violenza caotica che sprigiona, visto quel clima di atmosfera di cui si è detto. Scenari estremi, ma non privi di un tema portante per ognuno. La band esiste da un lustro, e alcuni elementi provengono da realtà minori della scena canadese (qualcuno conosce i Nuclearhammer?). La cover ha uno stile vagamente alla H.R.Giger è del vocalist e la band è appassionata di filosofia, psicologia, storia. Temi profondi e che la band usa nel guardare e descrivere l’umanità attraverso una visione estremamente brutale che loro stessi sintetizzano in questa frase di J.P.Sartre: “l’uomo è condannato ad essere libero;… perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa”.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10