(Fighter Records) Quelle vecchie volpi spagnole dei Vhäldemar, che non si facevano vedere con un full-length dal 2013, hanno piazzato un’altra delle loro bordate heavy/power metal: e io a questa band non riesco a dire di no. In un mercato che definire saturo è dire poco, questi veterani (sono attivi dal 1999… dal secolo scorso!) riescono sempre a interpretare con entusiasmo suoni e strutture sentite letteralmente mille volte… questi l’heavy metal ce l’hanno nel sangue, e anche nell’infinita ripetizione dell’identico ti sanno divertire e coinvolgere. La truzzaggine acceptiana di “Metalizer” è ingenua quanto trascinante; la titletrack è uno di quei mid-tempo che si definiscono ‘pachidermici’, con in più incorporato un ritornello over the top, e si segnala pure (tre brani su tre!) “1366 old King’s Visions”, che incorpora qualche elemento shred nelle movenze delle chitarre. “I will stand forever” è un hard’n’heavy che sarebbe piaciuto a Ronnie James Dio; “Howling at the Moon” recupera addirittura qualche suggestione rhapsodyana, per il sapore neoclassico di alcune strutture e per lo stile dei solos, mentre dominano tastiere vintage in “Walking in the Rain”. Se anche l’epica e hammerfalliana “Rebel Mind” funziona che è un piacere, diciamo che ci troviamo di fronte a una gemmina che prende Accept, U.D.O., Hammerfall, Judas Priest e magari un tocco di AC/DC e li frulla in un disco da ascoltare tutto d’un fiato. Heavy Metal is the Law!

(René Urkus) Voto: 8/10

(Fighter Records) Rispondetemi, cosa succede se fondiamo assieme il metallo dei Manowar e quello dei Dream Evil? Ne esce una lega metallica chiamata Vhäldemar. Equazioni chimiche a parte, è indubbio da dove hanno preso questi spagnoli come ispirazioni per il proprio suono. Pure i titoli di album e canzoni sono tutto un programma, quindi di fatto l’approccio che si deve avere con gruppi di tal guisa non può non tenere conto di tutti questi elementi che da soli magari risultano pacchiani ma che inseriti nel giusto contesto si trasformano come per magia in vero metallo. I riff ruffianissimi e mediterranei fanno da contorno ad una voce leggermente roca ma in perfetta armonia con il resto del gruppo per un album in cui parole come ‘king’, ‘metal’ e compagnia sono ripetute per non so nemmeno quante volte. Ma è questo il motivo per cui il sottoscritto si emoziona ad ogni concerto dei Manowar e perché ascolta i Virgin Steele fino allo sfinimento, perché il metal di questo tipo incarna alla perfezione il lato pittoresco di una musica che comunque anche in questa forma da delle soddisfazioni non indifferenti all’ascoltatore. Pur non inventando nulla, gli spagnoli offrono una buona prova, ce non stanca e che vien da premiare solo per il coraggio con cui questi individui portano avanti il verbo del vero metallo.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 7/10