(Fuel Records) All’inizio era il symphonic black metal il verbo dei Nemesis Inferi, poi i bergamaschi sono passati a qualcosa di molto più diretto e istintivo, cioè un hard rock dallo spessore heavy e l’attitudine stoner. C’è tanto groove oggi nelle loro canzoni, c’è adrenalina, c’è quell’aria da deserto percorso in moto o almeno quella voglia di libertà selvaggia, incontrollata e irresistibile. Alla consolle per questo album addirittura Jaime Gomez Arellano, che ha lavorato con Cathedral, Oranssi Pazuzu e Paradise Lost, per citarne alcuni. “A Bad Mess” è un’autentica scorribanda nell’elettricità che alimenta chitarre, basso, batteria, i microfoni, gli amplificatori e tutto il resto. Una scarica netta, semplice, con un riffing modulato, energico, andante, potente, mai cattivo, sempre furbo e consumato da storie di ogni tipo. Album che al primo impatto ti spinge a viverlo, poi magari ci si ferma chiedendosi perché, visto che alcuni riff sembrano essere fratelli. L’ascolto però non può essere unico e dopo un po’ ecco che i particolari emergono. Anche gli assoli lo indicano questo livello di unicità, non da meno il comparto ritmico dove il basso è una preghiera irriverente, la batteria una scarica di grandine e fulmini. Il groove è polveroso, una nube che si solleva e ricopre i pezzi. “Hate Me” è coinvolgente come le altre, ma ha possiede qualcosa di memorabile. “Anything Anymore” è smaltata da una falsa quiete, possiede un’anima semi-lisergica, al contrario della title track che sembra quasi di sentire i Kyuss sparati a mille e passi chilometri all’ora. La canzone che forse mette d’accordo un’anima ‘statunitense’, stoner, southern, è “Crawling in the Dust”, perché abbina potenza e un ventaglio di emozioni in maniera unica.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10