(Scarlet Records) Qualche anno fa, quando durante una intervista a Terence Holler, ricevetti una risposta strana: “Noi si ha una matrice, una base, un po’ più thrash, il riffing… siamo considerati progressivi, ma più che progressivi siamo tecnici.” (qui). Ricordo ancora quell’istante preciso di quella divertentissima intervista. Qualcosa non mi tornava e, in varie successive occasioni, non dissi mai nulla a Terence. Cos’era che non mi tornava? Quel “thrash”. Parliamoci chiaro, nei 10 album finora pubblicati dalla band toscana, non c’è nulla che li possa associare al thrash metal. Non sono un ragazzino (nemmeno Terence), ed il thrash l’ho vissuto quando era in voga e non come revival a suon di reissues o ricerca di album vecchi. I dischi (vinili!) dei grandi del genere li compravo al negozio di dischi il giorno della pubblicazione (o qualche giorno dopo, qui arrivavano sempre tardi, ma per fortuna non c’erano reti e torrent russi, quindi nessuno spoilerava nulla). Ho sempre pensato che avrei dovuto rispondere a Terence: “ma che cazzo dici? Ma te sai cosa è il thrash metal?”. Per fortuna mi morsi la lingua! Perché Terence sa benissimo cosa sia il thrash, lo sanno pure i suoi compagni… e in questo nuovo “Cracksleep” troverete gli Eldritch classici, quelli melodici, quelli cristallini, quelli con le tastiere brillanti… ma in veste molto più oscura, molto più decadente… il tutto servito con una grigliata di riff violenti da poterci fare l’indigestione! Progressivi e tecnici fin che volete, ma con questo album c’è l’esaltazione del ‘fattore mazzata’ … e consiglio ai fans più datati di prestare attenzione: ragazzi, non c’avete più l’età, la cervicale sarà già una noia… ma dopo un solo ascolto di “Cracksleep” potrebbe diventare un problema irreversibile! La title track è solo una introduzione, epica ma inquietante: tracce di una psiche oscura che emergono e diventano melodia. “Reset” esplode. Chitarre brutali, riff pesanti di origine death metal, chitarre che sputano in faccia licks e sweeps velocissimi, mentre la voce, che auto-tributa la band, risulta melodica, cristallina, pulita ma dannatamente maschia. Teatrale “Deep Frost”, tuonante, tecnica, piena di groove, spietatamente cadenzata. Volevate thrash? Speed metal? Thrash tecnico degli anni che furono? Risposta: “Aberration of Nature“. La vena oscura dell’album si manifesta con brani meno tirati, più depressivi, più introspettivi: “My Breath” risulta sensuale ma è “Hidden Friend” che cela malinconia e devastazione interiore, con un tocco horror, un sapore traumatico, annegato nella paura, una prigione mentale dalla quale è difficile evadere. Progressiva e in costante crescendo “Silent Corner”. Schizzata e potentissima “Voices Calling”: un brano veloce, con un thrash metal mescolato al prog diretto -ma catchy- dei primi album, fino ad un growl possente eseguito sempre dall’eclettico frontman. “Staring at the Ceiling” è un altro capitolo potente: brano più lento, ma molto pesante, un refrain epico, con un riffing più tagliente, quasi selvaggio, decisamente irresistibile. Band che evolve, pur rimanendo inconfondibile; nuove idee, nuovi approcci, nuovi percorsi i quali restano comunque molto ben incastrati dentro la tradizionale (e vasta) ampiezza sonora degli Eldritch. Le bands che vantano una lunga carriera devono sempre affrontare un dilemma: lasciar correre la vena artistica, l’ispirazione del momento, registrando qualcosa di completamente diverso, rischiando di perdere il pubblico fedele per gettarsi in pasto ad un nuovo pubblico non ancora esistente (e non certamente garantito)… oppure ripetersi ad oltranza,dentro una ‘safe-area’, soddisfacendo lo zoccolo duro della fanbase, ma risultando noiosi e finendo presto fuori moda e nel conseguente oblio discografico? Gli Eldritch hanno le capacità compositive ed esecutive per scegliere la terza strada, quella tecnicamente più difficile: fare un album indubbiamente Eldritch, ma con un gusto nuovo, una energia nuova, una forza rigenerata. La quasi impossible unione tra ciò che è tradizionale e ciò che risulta al passo con i tempi. Diciamocelo: non è da tutti riuscire in una simile impresa. E forse, con il senno del poi, loro ci sono riusciti ‘solo’ per l’undicesima volta.

(Luca Zakk) Voto: 11/10