(Century Media Records) La dimensione seventies dei Barren Earth ha assunto una fisionomia ben diversa dagli esordi, quando allora la band pronunciava il proprio progressive in una maniera appena più freak. Oggi con “A Complex of Cages” le cose sono cambiate, nonostante lo stampo prog che tiene uniti il lato metal e quello old rock. Fin qui tutto accettabile, se non fosse per lo spettro degli Opeth che sembra gravare in diversi ambiti di “A Complex of Cages”. Le parti metal, death o simili che siano, hanno una corazza molto più spessa che in passato, appena più Amorphis del previsto, e le parti prog-rock hanno invece un aspetto meno arioso di qualche tempo fa, con istanti molto vicini a King Crimson e Jethro Tull. L’innesto di un nuovo tastierista, Antti Myllynen, ha portato dei sensibili cambi d’atmosfera, mentre quello del cantante, cioè Jón Aldará già presente nel precedente album “On Lonely Towers” del 2015, aveva già contribuito a cambiare un po’ le carte in tavola. Per quanto la bellezza melodica dei brani sia sempre di un certo livello, i Barrens ancora una volta non si dimostrano immediati nelle composizioni, tra l’altro mai veramente brevi. Tuttavia “A Complex of Cages” è una serie di scorci interessanti, graziosi, memorabili, intensi e tutto quanto accade tra un lampo e l’altro non è mai del tutto secondario. La band costruisce qualche architettura sonora ambiziosa, esercita qualche atto d’immediatezza, ma l’ascolto prolungato è quanto un ascoltatore dovrebbe dare al nuovo album di un supergruppo mai sobrio nelle proprie composizioni. Personalmente Aldará e gli altri potrebbero ridurre veramente al minimo l’utilizzo del growl e puntare maggiormente sul clean, visto quanto pathos e lirismo riesce a infondere il cantante delle Fær Øer. Il clean e il growl insieme iniziano a stufare e ancora di più in band di una certa levatura tecnica.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10