copanhandfulod(RisingWorks) Metallare e Metallari ecco a voi il Nu & Alternative Metal da Tarcento, zona di Udine. Lo propongono, attraverso una nuova prova, gli An Handful Of Dust. Dieci pezzi che in realtà sarebbe meglio chiamare da subito come metal, nonostante poi servano altri aggettivi ed etichette per definirlo. Prima ancora però è doveroso dire che l’album è uscito nel gennaio del 2011 e che la band lo sta ancora promuovendo. In redazione è arrivato molto tardi e, come se non bastasse, ha dovuto aspettare parecchio prima di essere recensito, causa immensa quantità di materiale precedente al suo arrivo da visionare. Quindi è meglio sgonfiare la presentazione, perché di questa band si è già parlato nella scena e non sono io a scoprirla. Svolgo comunque il mio compito scrivendo immediatamente che “Nu Emotional Injection” è da comprare. Se qualcuno di voi cercasse del buon metal moderno, magari può investire i propri soldi in questa band italiana. “Nu Emotional Injection” è un album godibile. La capacità degli AHOD sta nel fatto di saper inserire nell’impianto dei pezzi una considerevole dose di dinamismo. Io non mi azzarderei a definirli progressive, certo è che ascoltando l’estro di “Modern (Frozen).Hope” e alcune cose in giro (ritmi stoppati, riff frizzanti, un cantante che va a toccare anche il growl ecc.) li si potrebbe definire tali, però i AHOD mi sembra che abbiano ferma volontà di variare melodie, velocità, stili. Gli umori dei pezzi. Ecco che di conseguenza l’album viene pervaso da riff heavy o hard rock, oppure quasi sul thrash e groove metal e l’impianto melodico tuttavia è sano e presente. Intendo che le canzoni hanno una propria anima e fatta di suoni che si raccontano e catalizzano l’attenzione dell’ascoltatore. “Lighthouse Callings” è energia, un riffing che mi ha ricordato qualcosa dei Them Crooked Vultures e nel bel mezzo gli AHOD  ci piantano un intermezzo falsamente reggae. A dire il vero gl’intermezzi sono una caratteristica nei loro pezzi. A volte magari non proprio contestualizzati, ma sono poche occasioni. “Ordinary Life” è schizofrenica, perché le chitarre mettono insieme una serie di accordi e a velocità diverse, tanto da sembrarmi dei Metallica moderni. Non manca qualcosa di placido, ma non ci sono ballad, come “Shadow” e altri che propongono dei passaggi più armoniosi, come in “Mountains Can’t Grow Forever”, “We Are Alone” e “Soulmirror”. Dieci pezzi sfaccettati e spesso capaci di offrire melodie importanti, altre volte sembrano troppo autocompiaciuti, i musicisti, nel rendersi alternativi e funamboli nel songwriting, e di conseguenza qualche canzone non lascia il segno. Però ci provano, osano, rischiano ed è lodevole. Tutto qui. L’album mi è piaciuto.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10