(Argonauta Records) Il peso massiccio delle composizioni della band di Pavia, il cui nome gioca tra la pronuncia inglese di “the owl” e la sua assonanza con il dialetto locale, nascono da un songwriting scartavetrato al quale viene applicato una sorta di smalto, esponendolo così a livelli mai visti prima per la band. La title track e opener è appassionata e scorrevole. Lo stoner è sviluppato e multiforme, anche rispetto al precedente lavoro “Garden of Exile”. Ad ogni modo la componente doom è altresì pronunciata ed espressa con toni ombrosi, densi e attraverso una maestosità forse meno ‘legnosa’ che in passato. I brani suonano meno possenti, meno monolitici, comunque affatto privi del pesante groove, a tratti tenebroso, ma molto più denso che in passato. “Black Death” lo conferma e una “Garden of Exile”, il cui titolo recupera appunto quello del precedente album, mostra toni ovviamente sabbathiani, attraverso un’accoppiata basso-batteria e non senza una volubile ritmica alle pelli, imponente ma dalla densità variopinta. Gli otto minuti di “Mother Witch” sono l’espressione migliore dei Di’Aul, soprattutto il loro anello di congiunzione con una matrice old rock, la quale inscena la maturità della band. Un EP, “GV 12..31”, “And Then Came the Monsters” e il già citato “Garden of Exile” sono stati i percorsi logici per questo nuovo, spirituale e altresì evocativo album che mostra il meglio dei Di’Aul.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10