La settima edizione del festival organizzato dai colleghi di Metalitalia.com mi attira particolarmente. Questo loro nuovo disturbo bipolare inizia ad esaltarmi.

La diagnosi arrivò senza pietà l’anno scorso, quando la malattia divenne più grave, dando vita ad una metastasi che si estendeva su ben due giorni, sollevando un caso clinico molto originale: non c’era più un solo giorno di musica tendenzialmente estrema (a questo fest in passato si sono esibiti nomi quali -in ordine sparso- Sodom, Impaled Nazarene, Destruction, At The Gates, Testament, Exodus, Dark Tranquillity) con qualche eccezione (ad esempio gli Uriah Heep nel 2013). La nuova evoluzione del virus, la nuova mutazione genetica della sindrome, insorta l’anno scorso, porta a due giorni ben divisi, ben separati dal punto di vista del pubblico e della tipologia di potenza sonora offerta.

Ovviamente un altro (noto) bipolare come il sottoscritto, in linea con l’organizzazione, non può rimanere indifferente ad una cosa così provocante, perché il mio dichiarato amore per i suoni estremi ben presenti nel secondo giorno, non è secondo al mio altrettanto dichiarato amore per sonorità più tradizionali, inglobando una vasta gamma di suoni… compresi quelli epici e gloriosi del primo giorno dell’edizione 2018.

Il primo giorno era appunto epico.

Pura gloria. Un turbinio di guerrieri vittoriosi, di fraternità metallica. Un susseguirsi di leggende pregne di sangue e vittorie, nel nome di una terra, una leggenda, una gloria presente, futura. Eterna.

L’apertura è affidata agli Asgard… e senza pensare al loro poderoso speed, risulta sufficiente il moniker per capire che tipo di atmosfera si stava per instaurare. Un’atmosfera esaltata dalla performance degli ottimi Rosae Crucis. Sostituiti all’ultimo minuto a causa dell’assenza degli Eldritch, tornano per il secondo anno consecutivo i White Skull: il loro concerto è devastante, loro sono in forma, grintosi… e fanno una cosa fondamentale per un gruppo che si esibisce su un palco: SI DIVERTONO… contagiando prepotentemente un pubblico che ormai inizia ad essere numeroso. Con l’ottimo spettacolo degli Elvenking il metallo abbandona i concetti generici e si focalizza su cavalieri, eroi, epiche battaglie ed un’eredità di onore e gloria. I Domine escono anche dalle tracce folk degli Elvenking ed esaltano il pubblico con il loro power tecnico, veloce e tagliente. Bello il contrasto tra la voce acuta di Morby dei Domine e quella rauca e poderosa di Chris Boltendahl che offre un’ottima performance con i suoi Grave Digger, subito dopo. Band storica, affermata, una band che non tradisce e che trova una nuova immagine anche grazie all’axe man Axel “Ironfinger” Ritt ormai stabile in formazione da quasi un decennio, un musicista in ottima forma fisica che sul palco è pura esaltazione, puro spettacolo. Il giorno uno di questa edizione ha offerto poi uno spettacolo molto particolare: Rage meets Refuge. Immagino che i devoti al secondo giorno fatichino a capire di cosa si stratti. Sono i Rage? Sono i Refuge? Chi sono i Refuge? Due bands sul palco? Per farla breve sono la line up quasi originale dei Rage (1987-1993), che si è ritrovata nel 2014 suonando un concerto ‘segreto’ sotto il nome Tres Hombres. Ma siccome i Rage ormai vivono di vita propria, questo improvviso nuovo incontro tra Peter “Peavy” Wagner (front man di entrambe le band) e i suoi vecchi compagni, ha dato vita ad un progetto parallelo, i Refuge per l’appunto, i quali hanno pubblicato un disco proprio quest’anno (“Solitary Men”). Il concerto tenutosi al Metalitalia.com Fest è stato un mix delle due band. Peter “Peavy” Wagner sempre al centro, ma con mezzo set prettamente ‘Refuge’ con relativi membri della band ed una seconda parte tutta ‘Rage’…sempre con relativi membri. Praticamente uno show bipolare in un fest bipolare! Fantastico, fantastici… compreso il tributo all’unico vero Dio: Ronnie James Dio! La serata continua e, con mio sommo piacere, arriva all’apice con la band più gloriosa che ci sia (mio personale parere, non mi interessa incontrare la vostra approvazione): gli HAMMERFALL! Più in forma che mai, più ovvi che mai, con più ritornelli catchy che mai! Semplicemente… lo confermo e lo dichiaro… gloriosi!

Il secondo giorno è stato quello delle tenebre. Del fumo. Della morte. Se il primo celebrava la gloria, il secondo osannava la dannazione più putrida e spietata. E l’apertura è stata affidata in modo azzeccato agli italiani Nibiru, capaci di dar vita ad uno show letale, putrefatto, psichedelico, rumoroso e perverso. I quattro musicisti sembravano vivere di vita propria sul palco, completamente sconnessi, lontani… ma diabolicamente collegati nella manifestazione di un rituale ai limiti dell’incubo. Un assoluto peccato che proprio a loro sia toccato aprire la giornata… considerando quello che ho visto (o mi è toccato vedere…) dopo; l’apertura davanti ai soliti quattro gatti non era certamente adatta ad una band di questo livello musicale, atmosferico, scenico ed emozionale! I Caronte continuano il rituale già evocato dai Nibiru: il loro show è una messa irriverente e provocatoria, un’altra band che merita i piani alti in un bill di musica estrema. Ottimi i Doomraiser, che con il loro doom classico rendono riti e visioni oscure una cosa molto più rock’n’roll! Sorpresa con gli olandesi Dool: un nome poco noto, quasi forzatamente infilato nel bill. Una band di rock oscuro, a cavallo tra The Mission e doom, capitanati da Ryanne van Dorst, la inferocita ed estremamente ambigua frontwoman (?). Uno show tra il gotico e l’estremo, con sonorità rock, dark, metal. Forse la loro definizione ‘Dark Rock’ è la più indicata, ma è molto difficile descrivere questa band senza vederla dal vivo: ascoltare il loro CD non rende quanto può rendere la loro presenza scenica possente, provocante e volutamente irriverente. I Forgotten Tomb salgono sul palco e infondono depressione e suicidio con il capolavoro “Songs to Leave”, qui suonato per intero: una stupefacente cura per la devastazione psicologica di un fest deliziosamente malato. Una cura resa vana dall’esecuzione impeccabile di capolavori quali “Disheartenment”. I Novembre non deludono, anzi esaltano, con il loro death metal di provenienza melodica espresso con un gusto marcatamente gotico. La vera delusione, però, viene dalla band che forse più attendevo: i Tiamat. Nonostante l’esecuzione perfetta di capolavori dalla set list di “Clouds” e “Wildhoney” il loro show mi ha profondamente deluso, anzi fatto arrabbiare. Ogni 2 o 3 minuti dovevo uscire, cambiare aria, per poi sentire il richiamo ed il bisogno di tornare ad osservare. Purtroppo il 90% dei miei ‘ritorni’ erano uno scenario desolante: Johan, tutt’altro che in forma fisica, era spesso assente dal palco; la sua band, un gruppo di session pagati per fare un pessimo lavoro d’immagine, non rendeva minimamente tributo alla grandezza dei dischi suonati e alla carriera del nome. Ad ogni frequente assenza del leader, la band era persa, dispersa: tra di loro chiacchieravano, si guardavano chiedendosi cosa fare nel frattempo, senza un minimo di attività scenica o dissimulazione. Una desolazione terribile. Certo, quando suonavano i brani la resa era eccellente ma, vedete, nessuno dice ‘vado a sentire un concerto’; è costume dichiarare cose come ‘vado a vedere un concerto’! E con i Tiamat, tristemente, non c’è stato proprio niente da vedere. Per fortuna seguiva il concerto dei Candlemass, con il redivivo Johan Langquist (vocalist del capolavoro”Epicus Doomicus Metallicus”); la band è in forma, il singer è sincero, reale e possente a livello vocale, nonostante l’età e la distanza dalla scena. Certo, il tempo è passato e palesi note da palco gli ricordano sia i testi che la set list… ma lui canta con sincerità e purezza, con umiltà e apertura verso il pubblico. Non si è mai nascosto dietro un misticismo ormai ridicolo come quello del frontman dei Tiamat, ma è sempre apparso puro, assolutamente reale e vero. Dannatamente umano… come tutti noi, come tutti noi partecipanti ad un fest che durava ormai da quasi ventiquattro ore, senza sosta, senza pausa, senza una minima pecca organizzativa.

Due giorni, ventiquattro ore, sedici bands. Una macchina organizzativa impeccabile. Un’unione bipolare di metallari di schieramenti opposti e diversi. Pubblico che annoverava partecipanti con età compresa tra i 6 e i 70 anni.

Un fest che dimostra una cosa molto semplice: il metallo non è una moda, ma è una fede. Che tu abbia 16 o 60 anni, se credi veramente in questa musica, parteciperai ai concerti… quando qualsivoglia tormentone modaiolo normalmente genera un immediato frivolo fanatismo seguito da un eterno lacerante oblio.

Il Metalitalia.com Fest, come molti altri festival italiani o europei, ha dimostrato che il nostro genere musicale preferito, nelle sue più svariate manifestazioni, è una malattia terminale. Per la quale, fortunatamente, non è ancora stata trovata una cura… una cura che nessuno vuole, nessuno cerca, nessuno sogna.

Dopotutto, quando in età adolescente conobbi le prime band hard & heavy, dando inizio ad un mio crescendo nella ricerca di stili, intensità, pesantezza e violenza, l’unica cosa alla quale non ho mai pensato è…smettere. Questo genere musicale non è solo musica. È la colonna sonora di un film che riassume vite intere, vite belle, vite brutte, vite reali. Ed un qualsiasi film senza colonna sonora, per quanto d’autore, rende un decimo di quello che riesce ad offrire se opportunamente musicato.

(Luca Zakk)