(Non Serviam Records) Difficile se non impossibile dire con esattezza che cosa possa essere passato per la testa agli Ennui per concepire un così contorto lavoro. Il duo celebra la propria quarta uscita con un trittico di canzoni dalla durata infernale. Perché una canzone può pure essere lunga più di mezz’ora, ma se il genere è il doom death le cose cominciano a prendere una svolta inaspettata, quasi tragica per chiunque voglia approcciarsi a questo disco. La title track che apre il platter ci immerge in ben 32 minuti e rotti di follia al rallentatore, come vedere la morte decomporre un corpo in stopmotion, uno stillicidio sonoro portato avanti con una controparte vocale deviata almeno tanto quanto la parte strumentale. Il death proposto è morente e in via di scomparsa, una vagonata di agonia che a tratti si rialza con improvvise accelerazioni e picchi di cattiveria. La seconda traccia (comunque venti minuti di musica, così come il terzo e ultimo brano) offre un brano decisamente più doom e malinconico ma comunque intriso di rancore per la vita. Il lento incedere offre ampie possibilità all’ascoltatore di soffrire e condividere la disperazione, anche se qui lo struggimento malinconico è decisamente maggiore. L’ultimo brano è di fatto una ripresa del secondo pezzo, altri venti minuti di intolleranza alla positività. Questo disco sembra una colonna sonora più che un lavoro canonico, complice una malcelata voglia di far uscire emozioni in modo piuttosto palese e direi anche riuscendoci appieno. Pur ostico all’ascolto immediato, l’album offre il suo fascino sulla lunga distanza, un trittico musicale ben composto, arrangiato e prodotto in grado di portare l’ascoltatore il luoghi altri per un bel po’.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8,5/10