Con ben quattro date, i Taake invadono anche l’Italia con il loro tour dedicato al ventennale di “Nattestid”. Avevo già assistito a questo concerto, lo scorso agosto, proprio a casa loro, a Bergen in Norvegia (report qui). Continua ad impressionarmi che Hoest, che questo artista, con la sua band, sia capace di offrire una performance talmente estrema, talmente oscura e feroce anche per un tour come questo, chiaramente collocato tra il rievocativo ed il commerciale, quindi non alimentato dalla carica compositiva di un nuovo disco.

La serata all’Alchemica si dimostra subito interessante, con quel tocco di ‘pericolo’ velato, quasi un gusto del proibito. Nei giorni antecedenti a queste date, l’Antifa, specialmente la divisione Bolognese, minacciava eventi del tour con pubblicazioni online estreme: un condimento di confusione mentale, di ignoranza musicale e di ipotetica forza d’attacco.

Rimanendo pubblicamente ben lontano da ideali politici, non mi interessa assolutamente valutare quelli dei musicisti, i quali si esibiscono in concerti puramente artistici senza prendere posizioni di destra o di sinistra, o esprimendo ideali di origine nazista, fascista oppure, per par condicio, ispirati al bolscevismo o alla sinistra estrema. Ed è questo quello che, per me, conta. L’arte. La pura arte.

È chiaro che i Taake non cantano certamente di paradisi celesti o santificazione delle anime, fanno black metal da sempre dopotutto. Lo stesso vale per le tre bands di supporto, ma nessuno di tutti questi personaggi ama prendere posizioni politiche o razziali. Al limite ama provocare e, diciamocelo, considerata la demenza di alcune organizzazioni, la provocazione diventa un assoluto divertimento.

Dati i possibili rischi, la zona del concerto era comunque ben pattugliata, anche se con discrezione, al fine di garantire una serata tranquilla all’insegna della musica, senza forzature o disturbi di alcun tipo. Al mio arrivo osservo: noto il solito pubblico ‘black’, con il solito abbigliamento in stile. Non vedo nessuna svastica, nessun simbolo razzista, nessuno con atteggiamento o look da ‘camerata’. Tra l’altro, cosa ‘sorprendente’ non noto individui con evidente provenienza di sinistra, con stile palesemente antifascista. Quello che vedo è una predominanza del colore nero, un amore infinito per un genere musicale estremo, un rifiuto della religione, ed una grande voglia di divertimento. Vedo la celebrazione del black metal, genere che annovera senza dubbio i Taake tra i più importanti rappresentanti.

L’act norvegese è ben accompagnato: tre bands, tutte Italiane, aprono la serata instaurando immediatamente il feeling perfetto, l’atmosfera ideale più adeguata, ideale.

I Kyterion cantano l’Inferno. L’oscurità dell’inferno dantesco, con tutti i suoi eccessi spinti all’estremo. E come delle rappresentazioni di demoniaci e misteriosi Virgilio, accompagnano i vari Dante dispersi tra il pubblico attraverso i gironi, con un growl che nasconde testi rigorosamente in idioma vernacolare del secolo XIII.

Meno coreografici, ma più diretti, espliciti e dannatamente aggressivi i Dewfall. Anche in questo caso c’è una esaltazione della storia: se i Kyterion abbracciano l’epoca di Dante, i Dewfall -con l’ultimo e recente “Hermeticus”- toccano tematiche ambientate circa un secolo prima, tematiche riguardanti il mito di Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero, tematiche che esaltano la terra di origine della band, rivelandola in tutta la sua misteriosa oscurità.

 

I Selvans esaltano la terra e la cultura, lo fanno da sempre. Il nuovo favoloso “Faunalia” (recensione qui) è una esplorazione degli elementi di storia, mito e folklore italiano: sul palco sono diventati più teatrali, dei cantastorie bizzarri, dei tetri narratori che annunciano la morte e l’orrore, dei menestrelli che impersonano visivamente tutto l’estremo contenuto nei testi. Trovo strano e surreale il mio personale punto di vista: ho assistito a vari concerti dei Selvans… e sul palco dell’Alchemica potevo riconoscere i movimenti dei Selvans, ma mi sembravano impersonati da altri esseri, quasi dei figuranti con costumi inquietanti che si muovevano esattamente come i Selvans. Oppure erano semplicemente i Selvans, ma ben celati. La mia percezione accettava la coesistenza di un feeling familiare con una sensazione nuova. Riconoscevo e non riconoscevo i Selvans, una band che sta seguendo un percorso stilistico complesso, un percorso che è un punto di convergenza tra arte musicale, teatrale e visuale.

I Taake sono una conferma di se stessi. Una conferma grandiosa, in quanto la band appare sempre più in forma, concerto dopo concerto. Avendo già visto questo concerto in un palco più grande, ho apprezzato particolarmente l’intimità dell’Alchemica… una intimità gradita anche da Hoest considerando l’intenso relazionarsi con il vicinissimo pubblico. Hoest è violento. È scatenato. È furioso. Hoest impreca e bestemmia. Hoest urla e trasuda odio. E si rivela generoso, visto che oltre all’intero “Nattestid”, chiude il concerto con un brano di un album più recente, ovvero la bellissima “Hordaland doedskvad I”.

Una serata di puro black metal… un black metal che è legato in maniera indissolubile alle radici e alle tradizioni delle terre di provenienza. Ciascuna band canta le proprie tradizioni, dipinge il lato proibito dei culti, delle tradizioni e delle storie locali. Non c’è nessuna emulazione, nessuna imitazione. Una serata che è riuscita a riassumere questo genere musicale in maniera semplicemente perfetta. Ogni band ha offerto uno spettacolo devastante, osando, andando oltre, spingendosi ai propri limiti, rischiando senza paura, mettendosi coraggiosamente alla prova con una proposta artistica personale e per nulla scontata.

…Cosa che i detrattori della serata -nonostante tutte le dichiarazioni estreme tipiche di un qualsivoglia defunto regime totalitario, tutte rigorosamente espresse dietro lo scudo di una tastiera ed un monitor- non sono riusciti a fare: in verità non ci hanno nemmeno provato! E la musica, ancora una volta, ha trionfato!

(Luca Zakk)