(Season Of Mist) Il primo approccio avuto con “The Heretics” è stato il 12 novembre dello scorso anno, quando dal vivo ho avuto modo di ascoltare nella scaletta proposta dalla band greca “Fire God and Fear”. La canzone finita appunto in “The Heretics” ben si sposava con il set proposto dai Rotting Christ, per atmosfera e principi di stile. Uno stile da sempre consolidato. I Rotting Christ sono tra quelle, forse poche, band che sin dagli esordi hanno proposto un sound molto personale, per quanto poi sia cambiato nel tempo. “The Heretics” segna una nuova epica testuale per i fratelli Tolis, Sakis e Themis infatti basano i testi sulle guerre di religione e l’eterna lotta tra il bene e il male, il tutto affrontato con l’ottica dello zoroastrismo. “The Heretics” si apre con “In the Name of God”, un titolo che richiama un’altra opener, quella del precedente album “Rituals” cioè “In Nomine Dei Nostri”. Il brano sigla immediatamente una maestosità senza pari, avvolta dalle sacre, arcane e oscure timbriche dei Rotting Christ. “Vetry Zlye” si completa con la voce di Irina Zybinma (Grai) che rende l’atmosfera ancora più antica e poetica. L’alternanza tra potenza e maestosità con melodie epiche e devote a riti, religioni e vicissitudini dell’umanità che hanno percorso i tempi, si stampano nel calco di ogni pezzo. George Emmanuel e Sakis Tolis creano due livelli di chitarre nei quali parti ritmiche e fraseggi, accordi aperti e refrain, concedono ricchezza all’ascolto. Si tenga poi conto del fatto che Themis spesso emerge con la batteria in contrappunti, staccandosi dalle linee del riffing, come sa restare in accompagnamento senza eccedere. L’atmosfera generale è pervasa dall’essenza degli ‘eretici’, il dramma delle religioni e tutto ciò che ne consegue, pesa ovunque in maniera considerevole. “Hallowed Be Thy Name” con il suo low tempo, i cori e il tono drammatico del riffing è l’esempio più immediato e concreto di questo modo di suonare. “ I Believe” invece ribalta tutto, i Rotting Christ si riagganciano a modalità black metal, con un parlato di Sakis Tolis che cantilena come in una preghiera, creando un ottimo contrasto con la divorante violenza che gli strumenti consumano nello sfondo. La succitata “Fire God and Fear” è un ‘solito’ e riuscito mid tempo alla Rotting Christ che travolge. Menzione per la conclusiva “The Raven”, ispirata proprio da “Il Corvo” di Edgar Allan Poe a cui i Rotting Christ riescono a dare un’atmosfera generale inaspettata, rispetto a quella percepita nel poema dello scrittore americano. Quattordicesimo album e tra tutti questi ci sono stati alcuni lavori meno ispirati che altri, ma viene difficile trovarne uno non affatto riuscito. “The Heretics” è un autentico album dei Rotting Christ, quelli degli ultimi anni, nei quali filosofia, storia, teogonia e il lato oscuro della civiltà sono plasmati e ritratti in un sound senza eguali.

(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10