Il Grind House non è una venue normale. Anzi, non è nemmeno una vera sala concerti. È piuttosto un locale, un club, un ritrovo intimo… con un palco, un alcolico bar, volumi pazzeschi, una gabbia (una gabbia? Si una gabbia!) ed un’oscurità impressionante.

Non a caso, oltre ai concerti, il locale organizza serate tematiche, serate culturali, serate ai confini (e oltre) dell’erotismo, serate heavy, glam, hard, punk, death, black e pure hard core. Non mancano i workshop alternativi, gli eventi kinky e BSDM, gli eventi sexy e provocanti, gli eventi tra l’arte e l’erotismo (ma l’arte È erotismo!), le serate rosa avvolte dal nero, le serate nere immerse in un nero più profondo.

Al Grind House si festeggia, si socializza, si beve, si balla, si ama, si vede, si percepisce e -a volte- si muore.

Una morte lenta, una morte che cade a pezzi, una morte che cammina lentamente verso una decomposizione che si frantuma, mille frammenti, mille tasselli di un puzzle scosso come violentemente un tappeto.

E nella serata Zombie Punk Rock Night di scossoni ce ne sono stati, tanti, potenti e prepotenti… e di pezzi ne sono volati in aria: pezzi di carne, qualche frammento di budella, un piede qui, un occhio lì, laggiù c’è un labbro penzolante che rivela denti marci sull’orlo del precipizio.

Proprio come nell’universo macilento degli zombie. Quelli dei film. Quelli della letteratura. Dei fumetti e dell’immaginario collettivo. Oppure come gli zombie veri, quelli morti e risorti e rimorti. Proprio come i Superhorror!

La band italiana è così morta e contemporaneamente così viva che nemmeno il sound trova una direzione chiara; è un punk, ma il punk è morto; è un glam hard rock, ma quello appartiene ad epoche defunte; è un rock vintage, ma anche moderno… perché la dissacrante e perversa attrazione per il proibito è ben radicata nell’istinto umano, e non servono gli anni ’80, i tacchi a spillo con spandex o le chiome biondo-cotonate per abbracciare ciò che è comunemente vietato. Dopo tutto, se è sbagliato ci eccita, non è vero?

I Superhorror non sono sbagliati. Sono la reincarnazione dell’errore universale stesso. Non sono vivi. Non sono di quest’epoca. Non appartengono ad un genere musicale ben preciso e nemmeno ad un genere sessuale classificabile nei documenti. Documenti che ovviamente non hanno, certificati di morte esclusi.

E quando il Grind House vuole mettere in piedi una serata di zombie punk, il pubblico che ne viene attratto è altezzoso, oltraggioso, incompatibile con il mondo esterno e diurno (ma perfettamente a casa nel locale!). E sul palco ci può salire l’unica band che in carriera ha innondato di sangue e brandelli di carne il punk (prima), il glam (poi) e -in ere moderne- anche quel rock adulto ma pregno di pensieri languidi e lascivi.

Le vittime della serata sono gli svizzeri Neutral Bombs. Quattro ragazzi allo sbaraglio mandati a suonare in apertura. Sono bruttissimi al confronto delle gran gnocche che militano negli headliners della serata, sono ovviamente rumorosissimi e felicissimi di far un gran fracasso anche in questo locale. L’atteggiamento punk lo prevede! Sono venuti fino al Grind House, cercando il successo e la gloria eterna in terra straniera… ma non sono tornati a casa, e di eterno hanno trovato solo il non-riposo. Da vivi erano simpatici e pieni di vita… ora sono putrefatti e pieni di morte, mezzi sepolti e mezzi disseminati nei dintorni del club. Il ghigno sul terrificante volto del frontman dei Superhorror la dice lunga su cosa possa essere mai successo nel backstage dopo la fine dell’esibizione dei punkettari del Ticino.

I Superhorror hanno offerto il loro solito spettacolo: morte in Technicolor, musica con acri profumi erotici e divagazioni da scomunica.

Il mio status di essere immortale, di creatura forgiata per l’eternità, mi ha fatto rivivere un fast forward di ricordi, visto che conosco questa band da prima del loro originale decesso: da ragazzini con la voglia di suonare, a vittime di una assurda tragedia, fino alla(e) reincarnazione(i) e la nuova (non) esistenza; i Superhorror hanno offerto un repertorio che spaziava dal rumore degli albori fino al turgido terrore dei tempi odierni, senza dimenticare qualche loro irresistibile e sensuale hit.

“Voodoo Holiday” è una di queste. Ecco, dopo una serata così faticosa, così decadente e piena di decessi improvvisi quanto violenti, la mia stanca antichità ha bisogno di una pausa. Di un riposo. Ecco, di una vacanza! Però non trovo una cazzo di agenzia viaggi che mi offra questo pacchetto benessere “Voodoo” subdolamente pubblicizzato dalla band!

(Luca Zakk)