(Nuclear Blast Records) Chissà cosa è successo agli In Flames… Ho adorato e ascoltato all’infinito album come “Reroute To Remain” e “Soundtrack To Your Escape”, letteralmente consumati dal lettore CD. Poi, il vuoto quasi assoluto dal 2006 in avanti. Album su album senza coordinate e senza quel “Gothenburg Sound” che loro avevano di fatto inventato e sviluppato. Lavori curiosi certo, ma assolutamente non all’altezza dal nome ormai consolidato che i nostri si erano negli anni guadagnati. Ora, anno 2019, le cose forse stanno tornando al loro meritato posto. “I, The Mask” è senza tanti giri di parole il miglior album del gruppo dai tempi dei due capolavori citati sopra. “Voices” apre l’album con una intro che rimanda proprio a “Soundtrack…”, tra lo stupore di chi ormai aveva perso le speranze da ormai due lustri e più. L’aggressività e la sua dicotomia con la melodia tornano di prepotenza regalandoci una performance del cantante finalmente su livelli qualitativi alti. Ispirazione, prima di tutto; questo si sente subito in chi ascolta il lavoro degli svedesi. Sarà stata la noia, la produzione in America, semplice ritorno sui propri binari… fatto sta che le successive “I, The Mask” e “Call My Name” consolidano incipit dell’album e portano all’ascoltatore linfa vitale e curiosità sul resto del lavoro, cosa che personalmente era mancata da più di dieci anni nell’ascoltare gli In Flames. E non solo un ritorno alle origini, ma anche un evoluzione del suono verso un qualcosa di nuovo senza snaturarsi. “(This Is Our) House” sembra un incrocio tra i Rammstein e una band power tirata, tanto per fare un esempio. Ma è un po’ tutto l’album che finalmente incolla l’ascoltatore al lettore fino all’arresto automatico e magari di nuovo al tasto Play. Sulla produzione non mi esprimo nemmeno, assolutamente perfetta come casa Nuclear impone. Insomma, un ritorno che definire gradito è riduttivo. Bentornati!

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8,5/10