(InsideOut Music) Si chiude la trilogia iniziata con “Please Come Home” (2015), poi continuata con “The Big Dream” (2017, recensione qui) del mastermind John Mitchell, il quale si permette di creare album vicini al pop ma con infiniti dettagli provenienti dalla sua vasta esperienza nel mondo prog. Questa volta si torna sulla terra: se all’inizio si parlava delle origini non terrestri della vita sul nostro pianeta, per poi addentrarsi su filosofie zen, l’argomento trattato questa volta è relativo alle generazioni moderne, così legate alla tecnologia, al loro piccolo grande mondo virtuale, tanto da non avere un’idea di cosa ci sia in giro, di cosa le circondi, nel bene e nel male. Melodie delicate, provocanti, molto dominate dal synth, ma anche con suggestive e progressive chitarre che si fanno strada in un percorso molto teatrale, con un’atmosfera costantemente sci-fi, ricercata, intensa. Fantastica “How Bright Is The Sun?”: dolce, sensuale ma con una chitarra divina. Vagamente di stampo Ayreon “Inside This Machine” (titolo compreso). Ottantiana fino all’osso “Icarus”, progressiva e teatrale “Ancient Ascendant”, cathcy e stimolante “Authorship Of Our Lives”, elevato il fattore emozionale con “The Signal”, superlativa “The Only Time I Don’t Belong Is Now”. Arrangiamenti da soundtrack, linee vocali rilassanti ma con validi e coinvolgenti ritornelli. Musica d’autore, musica ricercata, musica immensamente profonda.

(Luca Zakk) Voto: 8/10