(Subsound Records) Giunti al terzo album, gli italiani The Whirlings sono definibili in molti modi. O forse no? Le etichette si sprecano: Stoner? Psichedelico? Heavy? Ma, davvero, sono solo banali etichette. Anche questo nuovo album dalla lunga gestazione, è stato descritto come il prodotto di lunghe jam session psichedeliche e di innumerevoli concerti. Ma sono tutte chiacchiere, in quanto la band continua a fare jam session, continua ad improvvisare, continua a spaziare verso qualsivoglia direzione ignorando i confini di etichette stilistiche probabilmente necessarie solo per il collocamento sullo scaffale del record store: The Whirlings scappano da quelle trame quando provano, quando suonano dal vivo… ma lo fanno anche dentro questo intensissimo disco! Sono sicuro che se fosse annunciato uno concerto per l’esecuzione integrale di “Earthshine”, il risultato suonerebbe completamente diverso da quel che emerge da questo album! Infatti questo disco è un momento, un istante non precisato nel tempo, nello spazio-tempo, catturato in quella particolare combinazione di allineamento dei corpi celesti. I cinque brani sono movimenti ed arie di quell’istante, che descrivono bene (solo) quello stato mentale, (solo) la divagazione psichedelica di quella circostanza, un punto non ben preciso ubicato in una indefinita e vastissima area artistica multi dimensionale. Nonostante la band sia palesemente strumentale, la opener “ Vacuum“ presenta la voce della poliedrica Vera Claps su ritmiche incalzanti, dal sapore di colona sonora settantiana, con pulsazioni in equilibrio instabile tra il drammatico e la suspense cinematografica. Pura magia del basso su “Reverence”, mentre le idilliche note delle chitarre creano un’atmosfera di ipnosi caleidoscopica superlativa, intensificata nel crescendo ritmico avvolgente e deliziosamente coinvolgente, fino ad un immenso ensemble che si concretizza in una esplosione sonora favolosa. Graffiante ma anche profondamente riflessiva “#6”, un brano che ritaglia spazi per una chitarra solista favolosa. Ancora pulsazioni, ancora linee di basso calde, ancora melodie pungenti su una “Good For Health, Bad For Education” che, in linea con una ideale progressione jam, arriva ad uno stoner capace di tingere di nero il variopinto arcobaleno melodico. La lunghissima e conclusiva “Lost In Whiteout” è una jam nella jam, una divagazione in un oceano di divagazioni, l’improvvisazione della fantasia, una libertina libertà musicale intelligentemente geniale, un dichiarazione di intenti, un riassunto dei The Whirlings e di quella galassia di definizioni errate o etichette sbagliate. “Earthshine” è una fuga costante da un qualcosa dal quale non ha senso fuggire. Fuga e ritorno. Toccata e fuga. Provocazione e rifiuto. Eccitazione e delusione. Orgasmo e nuova voglia. Una danza amorosa tra le intricate trame di un pentagramma popolato da quelle sette noiose note, le quali in questo caso vengono sparpagliate con un ordine caotico da un specie di potentissima deflagrazione sonica.

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10