copavantasia(Nuclear Blast Records) Ogni volta che Tobias Sammet pubblica un album di Avantasia è, per me, un evento speciale. Adoro queste metal opera. Hanno sempre qualcosa in più. Creatività spinta ai limiti. Storie raccontate in musica. E ospiti. Moltissimi ospiti. Tra i migliori sulla scena. L’intelligenza manageriale di Sammet ha sempre portato a geniali scelte, quasi a voler formare quel super gruppo, quella band ideale che tutti avrebbero voluto sentire. Cosa che Sammet, a differenza di Lucassen, porta ad un livello più alto, cercando sempre di avere molti dei suoi ospiti anche in tour, creando da nulla spettacoli unici, e occasioni irripetibili di vedere i più grandi artisti della scena rock/metal tutti assieme, sullo stesso palco. Questa volta il copione si ripete, dimostrando anche una certa voglia di novità, proponendo scelte molto interessanti. Mancano Jorn Lande e Russel Allen, e non ci sono nemmeno Klaus Meine o Alice Cooper, e per me è forse è francamente un peccato. Ma le ugole che il genio tedesco è riuscito a portare in studio sono altrettanto valide, altrettanto mitiche: Joe Lynn Turner (ex Malmsteen), Biff Byford dei Saxon, Ronnie Atkins dei Pretty Maids e Eric Martin dei Mr. Big. Non mancano collaboratori noti, come Bob Catley dei Magnum e Michael Kiske, e la validissima Cloudy Young come voce femminile. Esemplare anche la lista di ospiti tra i musicisti: Russel Gilbrook  degli Uriah Heep alla batteria, l’inaspettata partecipazione dell’altro genio delle rock opera Arjen Lucassen alla chitarra, accompagnato da illustri colleghi quali Bruce Kulick (ex Kiss), Oliver Hartmann (ex At Vance) ed il fedelissimo Sascha Paeth. L’opera creata è maestosa come sempre. Un’altra storia raccontata con movimenti musicali che segnano un percorso emozionale lungo tutta la durata dell’album (oltre un’ora). Forse meno atmosferico e più heavy, più power dei precedenti, riesce comunque a trasmettere emozioni e coinvolgere l’ascoltatore con una costante sensazione decisamente teatrale. Anche questa volta è confermata la perfezione alla quale punta Sammet, con tutti quei suoni che si incastrano magicamente, quei passaggi che connettono i vari pezzi delle canzoni con armonia, e quell’innata capacità di scrivere sempre la canzone ideale per la voce che la deve cantare. Ogni voce ospite è infatti completamente integrata nel pezzo, con i famosi richiami al passato artistico del cantante stesso. Potenti e virtuosi i pezzi pensati per Turner (specialmente “The Watchmakers Dream”), decisamente power metal quelli pesanti per Kiske, tanto che io ci sento qualcosa degli Helloween (“Where The Clock Hands Freeze” è semplicemente la canzone perfetta per esibire la mostruose capacità del singer tedesco). Tra i pezzi meglio riusciti, più atmosferici, più espressivi nell’idea generale della rock opera, vorrei citare la stupenda “Black Orchid” dove la voce di Sammet si amalgama perfettamente con quel timbro dannatamente rock di Biff Byford dei Saxon. Un pezzo emozionante, molto sinfonico, ricco di dettagli e così meravigliosamente godibile. Altro duetto stupendo è rappresentato da “What’s Left Of Me”, dove Sammet divide la linea vocale con un Eric Martin in piena forma, con la sua voce calda, potente, melodica che regala al pezzo una decisa direzione verso la ballad hard rock. Ottima la performance di Cloudy Young la quale regala un’immensa dolcezza al nostalgico pezzo intitolato “Sleepwalking”, offrendo all’ascoltatore un bellissimo duetto con Sammet. Due sono i pezzi di punta dell’album, per valore compositivo, per durata (entrambi oltre i dieci minuti) e per convergenza dei vari cantanti. Parlo dell’immensa “Savior In The Clockwork”, epica, gloriosa, potente, dove Sammet canta assieme a Turner, Byford e Kiske, creando un pezzo che sarebbe fantastico dal vivo con tutti questi performers schierati sul palco assieme, e parlo di “The Great Mystery”, pezzo conclusivo che vede Sammet impegnato con Byford, Turner e Catley, dove la componente teatrale viene esaltata al massimo, e dove la progressione del pezzo si evolve dal power, al sinfonico, al melodico… quasi una rock opera nella rock opera. Probabilmente l’album è leggermente sotto tono rispetto al meraviglioso “The Scarecrow” o all’opera composta dai due album “The Wicked Symphony” e “Angel Of Babylon”, ma sicuramente molto, molto valido. Una chiara impostazione che punta più alla componente heavy, togliendo forse quell’originalità che ha sempre contraddistinto la produzione Avantasia rispetto a quella Edguy. Tuttavia si tratta di una bellissima opera, come ci si aspetta sempre dal genio tedesco, dove ogni ascolto rivela qualche ulteriore dettaglio, esalta l’esecuzione di ogni musicista (da notare le bellissime linee di basso create da Sammet stesso), regala qualcosa di nuovo. Sicuramente un ulteriore (inaspettato?) capitolo della saga Avantasia, il quale non può comunque essere quello definitivo. Non crederò ad alcuna altra eventuale dichiarazione di fine o sospensione del progetto Avantasia (avrebbe dovuto smettere anche prima  di “The Scarecrow”). Non ci crederò per una semplice ragione: Sammet mi ha (ben) abituato a cose stupende, innovative, capaci di generare e poi stravolgere le mie emozioni. Questo lavoro è perfetto, bellissimo, superbo, ma tranne qualche capitolo, sente la mancanza di quella costante sensazione speciale, unica, che i lavori precedenti riuscivano ad offrire. Se mai Avantasia deve cessare di esistere, mi aspetto almeno un’altra opera, la quale deve risultare gloriosa e magica più di qualsiasi altra precedente.

(Luca Zakk) Voto: 7,5/10