copministry3(13th Planet Records/AFM) Saltiamo a piè pari ogni discorso riassuntivo e biografico sui Ministry (state leggendo in internet, dunque vi sarà facile cercare e capire chi sono) e veniamo direttamente a quello che rappresenta “From Beer to Eternity”. Parliamo del presente, anzi partiamo dal 22 dicembre del 2012, quando Mike Scaccia, chitarrista, muore per un attacco cardiaco a Dallas, durante uno show con i suoi Rigor Mortis (il destino a volte…), l’evento segna negativamente l’umore di Al Jourgensen il quale reagisce alla morte del collega chiudendosi nello studio per sistemare dei pezzi e cose incomplete che erano stati approntati con Mike, l’altro chitarrista Sin Quirin, il batterista Aaron Rossi e il bassista Tony Campos per quello che doveva essere il nuovo album dei Ministry. “From Beer to Eternity” nasce da questo episodio luttuoso e da conseguenti tre mesi di lavorazione, riflessione, di maquillage sonoro che Al Jourgensen ha completato per l’ultimo album dei Ministry. L’ultimo, perché senza l’amico Mike Scaccia non si continua e non si va più in tour. I Ministry chiuderanno bottega. Nella recensione del DVD “Enjoy the Quiet – Live at Wacken 2012” avevo avanzato una perplessità sull’annunciata fine della band. Nonostante “enjoy the quiet” è proprio l’ultima frase di Al in “From Beer to Eternity”, il mio ragionamento parte da una frase del suddetto estratta da una recente intervista e ne sta rilasciando parecchie ultimamente, visto che c’è da promuovere un nuovo album, un live DVD e un’autobiografia (“The Lost Gospels According to Al Jourgensen”): “lo studio è il mio ambiente naturale, il palco invece mi ammazza”, cito a memoria. Il triste evento di dicembre ha scoraggiato Jourgensen, è umanamente comprensibile, ma quest’uomo di cinquantacinque anni e dal fisico segnato da diversi acciacchi (vedi il collasso avuto su un palco parigino nel 2012) dice la sostanziale verità sul fatto che in studio la sua creatività prolifica ad un tasso esponenziale. ”From Beer to Eternity” suona tra gli album più Ministry di tutti, almeno tra quelli dopo “Dark SIde of the Spoon”, perché racchiude in se elementi da “The Land of Rape and Honey” ad oggi: industrial, metal-thrashcore, psichedelia, electro metal e tutto ciò si fonde all’abituale temperatura critica dei Ministry, cioè quella di una centrale nucleare pronta ad un collasso esplosivo. Nulla mi vieta di pensare che Al in un futuro prossimo possa sedersi alla consolle e recuperare vecchio materiale per fare qualcosa di nuovo, oppure remixare questo album, come ha fatto con le ultime incisioni Ministry, magari farsi coinvolgere, e coinvolgere, in questo secondo aspetto è un fenomeno, in altri progetti collaterali (vedi Lard, Revolting Cocks, Buck Satan ecc) e solo perché lui in studio ci vive come un leone nella savana, padrone del proprio territorio e cacciatore di nuovi stimoli e necessità. Arrivederci Al.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10