copSTEALTH(autoproduzione) Hard rock, heavy metal. Definizione quasi ovvia, troppo generica. Ricevo dalla band questo CD e noto subito una copertina molto, molto, bella; Comunicativa. Mi sembra di sentire odore di territori alternativi, con divagazioni progressive. Do inizio all’ascolto e mi trovo davanti a “Guns”. Pezzo molto carico che, però, personalmente non mi entusiasma. Le mie aspettative che partivano dalla copertina iniziano, sbagliando drammaticamente, ad abbassarsi. Arriva “The Border”, e mi rendo conto che questi cinque ci sanno fare, sanno comporre, sanno suonare, sanno rendere viva una canzone con tutti gli strumenti. Ancora incerto arrivo a “Ozone Fades”. Diventa immediatamente chiaro che le due precedenti tracce sono state collocate all’inizio solo per scaldare i motori, per sciogliere i muscoli… perché questa canzone è dannatamente fantastica. Siamo palesemente lontani da un semplice hard rock o heavy metal. Qui si va oltre, si va su territori tecnici, progressione, fantasia e creatività. Ritmiche poderose, con melodie di chitarra che sanno affacciarsi al momento perfetto, dando un tono, arricchendo, entusiasmando; la voce diventa parte di una poesia esecutiva (mi ricordano in un certo senso i Conception). A livello assoli, atmosfera musicale, trasporto in ambientazioni… il pezzo offre il range completo, ed è proprio la sezione assoli finale che denota l’immensa capacità della band e fa ascoltare il resto dell’album con un punto di vista opposto a quello apparso dopo il primo pezzo. “Godspeed” è una power ballad potentissima, super melodica, con una linea vocale irresistibile, un basso coinvolgente, le chitarre perfette ed anche un testo molto valido. “Nuclear Warfare”, chiude la prima metà dell’album con una conferma di qualità ed efficienza della band. Un pezzo tirato, con ritmica travolgente, che ad un certo punto esplode (letteralmente) e dopo un vento nucleare, anticipato da un bellissimo basso, trasporta in una nuova dimensione, un concetto post atomico della canzone stessa, dove una pace, una melodia, ed una nuova energia sembrano ribellarsi agli eventi. Fine della metà del disco… avranno detto abbastanza? Per fortuna ascolto con estremo dettaglio ogni pubblicazione che mi viene sottoposta, in quanto la seconda metà di questo “Shores Of Hope” apre con la superlativa “Pharaoh”. Tornano i ricordi verso i Conception (e detta da me è un complimento infinito…), per un pezzo con un riff micidiale, fantastico, a supporto di una linea vocale perfetta, geniale ed ottimamente interpretata dal singer. Anche la power ballad “Black Century” è bellissima: melodica, molto ben suonata, dolce e potente con la parte dedicata agli assoli che registra una impennata, un accento, un indurimento marcato e molto ben concepito del brano. Coinvolgente anche “Uhlans 1915”, con la sua ritmica poderosa, capace di uscire dai confini del genere proposto dalla band e toccare limiti più appartenenti ad un certo tipo di thrash ma con un altro esempio di assoli pieni di personalità e componente emozionale. L’album chiude con due pezzi, uno scatenato, ed uno malinconico, quasi posto per dare un addio, o un arrivederci, ad un disco molto valido. La band è giovane, formatasi nel 2007, con una line up completa dal 2011. Questo è il debutto e lo hanno fatto da soli. Non oso immaginare cosa possa fare questa band con i fondi necessari e la label giusta alle spalle. Perché questa cosa “fatta in casa” mi ha sorpreso in maniera sconvolgente! Sono ottimi musicisti, registrano perfettamente, sanno comporre canzoni, sanno regalare emozioni, quelle emozioni che io amo ancora provare, che si misurano dal momento in cui hai il mano il CD fino al momento in cui termina l’ultima traccia e senti quel bisogno di premere play di nuovo. Ed oltre. Decisamente sorprendenti!

(Luca Zakk) Voto: 8/10