copmegatonleviathan(Seventh Rule) Un nome (tolto dai Judas Priest), un programma: la one man band dell’Oregon Megaton Leviathan propone un metal pachidermico e lentissimo, che mette assieme tutto quello che di buono c’è oggi nella scena extreme doom. Solo quattro brani in scaletta, il più breve dei quali dura circa nove minuti: la situazione è quindi analoga a quella del debut, di cui questo secondo full-“length” è la degna continuazione. “Past 21” riverbera di stoner e post metal dal tocco quasi spaziale; nel finale, con qualche voce filtrata, è protagonista uno struggente violino. Incredibile la capacità di coinvolgere l’ascoltatore se si tiene conto che i primi sei minuti stanno fermi sugli stessi quattro accordi! “The foolish Man” è guidata, per larga parte del suo sviluppo, da un sitar che genera atmosfere esotiche, ambient o proprio avantgarde; il finale torna a suggestioni space se non addirittura drone. “Arctic Cell” è un trionfo di distorsione violenta (soprattutto negli ultimi minuti), con le tonalità drone che prendono il sopravvento su tutto, esibendo cori femminili che mettono una sottile inquietudine. Giungiamo così a “Here come the Tears”, che potrebbe quasi essere ritenuta la ballad del lotto: i toni sono più soffusi, l’inizio è quasi rock, poi sul lento ripetersi del chorus l’impasto sonoro riprende la sua forma doom/sludge riverberante. Un disco che sicuramente convincerà gli appassionati di queste sonorità lisergiche, rispettabili eredi di certa psichedelia deviata di fine anni ’60.

(René Urkus) Voto: 7,5/10