copHAATE(Sixsixsixmusic) Osservo questa semplice e minimale copertina e penso che, forse, non mi piace. Poi osservo meglio, e vedo la macabra idea di far morire colori, luce e riflessi di questa foresta, immortalata con un riflesso su uno specchio d’acqua. E’ con questa sensazione di immensa decadenza che mi immergo in queste tre lunghe tracce (tutte dai dieci ai tredici minuti) di black atmosferico/dark ambient, dichiaratamente ispirato a Nachtzeit, ovvero il progetto svedese Lustre. Musica estrema nel concetto, travolgente nel fattore di coinvolgimento, immensamente oscura, costruita su una dimensione onirica, non cosciente, non strettamente terrena. Se ascoltando i Lustre ci sento molta connessione reale, sia essa terrena o astrale, comunque fisica, con la musica di questo progetto tutto Italiano (del quale non si sa assolutamente nulla, tranne che è una one man band e che l’artista partecipa ad altri progetti e non desidera un confronto diretto con la sua creatura) emerge una creatura intima, personale, criptica… sia nel suono che nel percorso musicale che fa immaginare una entità oscura dispersa nell’universo o forse in un’altra dimensione, probabilmente spirituale. Le tre tracce sono divise in due sostanziali capitoli: la title track (parte 1 in apertura, parte 2 in chiusura) e l’ottima “Crystal”, il pezzo forse più ispirato a Lustre. “Crystal” dipinge un sogno, non un incubo, ed è di fatto la parentesi luminosa di questa release. E’ facile abbandonarsi ai suoni armoniosi accentati da dettagli spaziali, è facile sentire la mente vagare verso mondi lontanissimi, sfiorando sistemi solari remoti, un po’ come se questo viaggio mentale fosse paragonabile ad una barca alla deriva in un lago tranquillo, la quale nel suo incontrollato vagare sfiora isole disabitate ed ad essa indifferenti, disegnando un percorso infinito ed immaginario. La title track è sconvolgente: la prima parte dipinge il ritratto di una figura femminile divina, condannata ad una vita che non desidera e lentamente di percepisce la sua mente che devia verso uno stato di non-coscienza il quale, improvvisamente, la risveglia in un’altra dimensione (parte seconda), dove le regole percettive sono diverse. Dimensione reale o concepita dalla sua mente? Non è chiaro, ma certamente che la figura divina -in questa seconda parte- diventa demoniaca… si percepisce il gusto per la violenza, per il sangue. Un gusto trionfale, perverso che porta ad una fine forse tragica. Sono dolore e sofferenza i sentimenti che emergono da questi suoni che seppur armoniosi sono contaminati e stuprati da distorsioni ambientali crudeli, demoniache e remote ipotesi vocali che aggiungono un infinito stato in inquietudine. Haate è un ottimo progetto: deve crescere, deve intensificare la personalità e l’originalità, ma è un percorso già ampiamente avviato, in quanto “As The Moon Painted Her Grief” è una di quelle release più da percepire più che ascoltare. Un livello percettivo che viene poi cinicamente lavato dalla fredda pioggia che si sente alla fine. Una pioggia ed un freddo che riescono a coinvolgere anche l’ascoltatore, sia psicologicamente che fisicamente.

(Luca Zakk) Voto: 7,5/10