copmachinehead(Nuclear Blast) Tra gli artisti che ho sempre ammirato per la loro coerenza, Robb Flynn merita una menzione speciale. A differenza di tanti colleghi che ripetono ad nauseam la stessa formula compositiva, Robb si dimostra coerente nel non ripetersi mai. Lo seguo già dai tempi dei Vio-Lence, una delle migliori band thrash metal che siano mai esistite (“Oppressing The Masses” è uno dei miei album preferiti in assoluto). Dopo il loro scioglimento, Flynn ha saputo reinventarsi con i Machine Head, gruppo in continua evoluzione stilistica. Sono passati dal thrash metal moderno di “Burn My Eyes” alle sonorità più vicine ai Sepultura con “The More Things Change…”, approdando ad influenze hip hop in piena era nu metal con il controverso “The Burning Red” e tentando di riaggiustare il tiro recuperando l’aggressività degli album precedenti con “Supercharger”, album di transizione. Dopo l’entrata in formazione di Phil Demmel (che aveva già suonato con Flynn nei citati Vio-Lence), la band vive una fase di rilancio, inanellando dischi di spessore sempre crescente, fino ad arrivare ai giorni nostri con questo “Bloodstone & Diamonds”, che non esito a definire come il loro capolavoro. La maturità compositiva è impressionante, una crescita tecnico/compositiva notevole, che permette loro di esplorare sonorità più epiche e complesse, con melodie ad ampio respiro che non scalfiscono assolutamente la potenza e l’impatto che da sempre caratterizzano il combo Americano. Robb Flynn è migliorato decisamente come cantante, modulando perfettamente la voce sia su registri aggressivi che nelle parti pulite che sono sempre state il suo punto debole. Ora invece, riesce a passare dalle classiche urla rabbiose a tonalità vicine al gothic di “Sail Into The Black”, fino ad emulare Chino Moreno nella sofferta “Beneath The Silt”, stilisticamente vicina ai Deftones. Musicalmente, il disco è il più oscuro della discografia della band. Le composizioni sono molto ambiziose e con un’attitudine progressiva, dove sono incorporati molti elementi e sfumature che richiedono diversi ascolti prima di essere assimilati completamente. Si vanno da atmosfere cinematografiche, come nell’orchestrale opener “Now We Die” e nell’epica “In Comes The Flood”. Non possono mancare le mazzate thrash: “Killers & Kings” e “Night Of Long Knives” riportano alla mente le sonore legnate impartite in “Burn My Eyes”, arricchite da maggior tecnica e gusto compositivo. Un album, quindi che da un lato conserva intatto il trade mark dei Machine Head, dall’altro si evolve verso sonorità inaspettate ma davvero coinvolgenti e ben amalgamate con quelle maggiormente consolidate. Un capolavoro!

(Matteo Piotto) Voto: 9/10

(Nuclear Blast) Se c’è una cosa che i Machine Head hanno sempre saputo fare è quella di piacere al pubblico. Qualcuno direbbe che danno al pubblico ciò che vuole, come se il pubblico sapesse cosa vuole… I Machine Head hanno reso più semplice il thrash metal, divenendo alfieri del groove metal, rimasticando la lezione dei Pantera e non solo, rendendo il tutto più fruibile fino ad arrivare al nu metal. Incredibilmente melodico questo nuovo lavoro, essenzialmente diretto e ricco di spunti che rendono i pezzi assimilabili e ‘simpatici’. La coltre sonora è tosta, dura, d’impatto, ma scorrevole fino ai massimi termini. Parto da un presupposto, le band americane riescono sempre a sottrarre il troppo dal metal e renderlo ‘per la massa’. Magari non tutte sono così, ma riescono poi nell’arco degli anni a semplificare il proprio sound e renderlo più aperto. Nuovo, in certi casi. Si pensi al rock and roll di base di “Game Over” ad esempio. C’è sempre quell’attitudine da ‘muro sonoro’ in “Bloodstone & Diamonds” (vedi “Killers & Kings”), ma la fruibilità e scorrevolezza da parte dei Machine Head è portata a livelli ancora più elevati e intensi. “Ghosts Will Haunt My Bones” è una buona testimonianza di come Flynn e soci sappiano essere moderni, accattivanti e tenersi magari un discreto tasso di pesantezza che li ha sempre contraddistinti. Resta il fatto che brani più agguerriti e cattivi non vengono meno in “Bloodstone & Diamonds”, ma tutto attraverso un grado di comunicazione, di approcciarsi alla melodia per il pubblico davvero elevato. Forse ciò che lascia un po’ di fatica all’ascoltatore è di dovere affrontare una settantina di minuti che non sono pochi, ma non credo che i fans non riusciranno a viverli con coinvolgimento. L’impressione generale è che “Bloodstone & Diamonds” riesca comunque a presentarsi come un lavoro di buona fattura, per modernità, grado melodico (“In Comes the Food” è un buon indice), pulizia nell’esecuzione e nel songwriting. Non si potrebbe parlare di groove thrash metal. Non è un album di fine anni ’90, ma i Machine Head sanno suonare con una certa vicinanza alla propria concezione musicale e allo stesso momento come una band attuale e senza sforare in cosacce ‘core’ o svilirsi in un banale e superficiale nu metal. All’interno dell’album esistono risvolti moderni, puliti e lucidati da una produzione impeccabile di Juan Urteaga e allo stesso tempo riff bordati di quella cromatura tenace che si è ammirata in lavori come “Supercharger”. Nuova linfa e nuove intenzioni per i fans, coloro che continueranno ad apprezzare una delle band più seguite nel mondo del metal.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10