copBLACKBOOKLODGE(Mighty Music/Target) Ventotto Luglio 2014. Sette dannatissimi mesi fa. E dove diavolo era questo album? Nel mucchio. Sotto gli altri. Diavolo, noi ne recensiamo troppi, ed ogni giorno ne arrivano di più. Davvero, non mi frega davvero se leggerete queste parole (ammesso lo facciate) mezzo anno dopo la release: quello che mi disturba è che IO mi ascolto questo meraviglioso disco… con estremo ritardo! Ma quale esperienza questi 49 minuti!!! Intanto un vocalist disturbato, psichedelico con una voce che mi sembra un esperimento chimico e generico tra Ozzy, Phil Swanson e Chris Cornell. E poi quella musica… quasi indefinibile! Il trio danese crea uno stoner strano, un po’ psichedelico, vagamente orientato agli Hawkwind, ma con una sostanziale oscurità ed una intrinseca decadenza, una assurda componente gotica. Ascoltandolo, a volte, ci sento pure… Sam Gopal (se non sapete di cosa parlo… chiedete al sig Kilmister…) quindi potete immaginare quante influenze e quante sonorità si intreccino dentro questo “Tûndra”. Un album che si insinua nella psiche, che coinvolge, cattura, ipnotizza. Corrompe. Dopo la psico-sabbatthiana “Battering Ram”, pezzo con influenze Hour of 13/Seamount, c’è “Lack Sheep / Prodigal Sons”, una canzone magnetica, con una ritmica semplice ma perfetta -un po’ alla Slash con guests-, un singing indimenticabile, un break assurdo che porta alla seconda parte del pezzo, dannatamente ipnotica e deviata. Emergono arrangiamenti sublimi, un suono degli strumenti strepitoso, una compressione perfida, un gusto esecutivo esemplare. Ma è il riff pungente e decadente di “Pendulum” che mi fa impazzire, che mi obbliga a pensare nuovamente a questi sette mesi senza “Tûndra”, sette mesi buttati nel cesso. “Lupus” è rock, è stoner, è alternative, mentre “Thalassa” è una ulteriore mazzata, un capolavoro costruito su un riff ed una ritmica che mi fanno letteralmente scoppiare il cervello, mentre il singing attrae i miei sensi, li devia, li rende peccaminosi. Brutale, perversa, oscura e mostruosamente decadente “The Call”: ritmiche poderose, chitarre sporche come la polvere, la componente stoner e doom che è esaltata, che cresce, che spacca. Lenta ed incisiva “Cripplegate”, la quale precede la title track con le sue origini esotiche, i suoi suoni mistici, quell’atmosfera che mi riporta proprio ad un assurdo Sam Gopal moderno. L’album chiude con i suoni distorti, lenti ed elettrizzanti di “Empire”, affondando ulteriormente la lama nella carni dell’ascoltatore, -nelle mie carni-, generando dolore e piacere, misticismo e sangue, vita e morte. Un album rivelazione. Era quello che stavo aspettando. E’ forse la ragione per la quale ascolto questo genere di musica. Un capolavoro!

(Luca Zakk) Voto: 9/10