(Autoproduzione) La negazione della separazione. Estremi opposti fusi in un’unica colata lavica, antica, ancestrale, alle origini del mondo. Bene e male, uccidere per supremazia ed uccidere per difesa, rabbia divina e furia infernale: tutti concetti che stanno agli antipodi secondo la nostra umana percezione, ma che sono alimentati dallo stesso impulso primitivo. Il piacere di agire nel bene, il piacere di agire nel male. Il gusto primordiale del terminare una vita, la scarica emotiva rilasciata nel furore: quale differenza? Ha forse importanza la causa scatenante quando il risultato è il medesimo? Ha senso parlare della causa di queste sensazioni? Quando l’umana psiche si lascia coinvolgere da questi demoni, pensa ancora ai valori scatenanti o si abbandona nella corrente del fiume emozionale? Questa patetica percezione umana, questa inutile distinzione in una natura che non ammette divinità e che sacrifica, a se stessa, qualunque essere senza alcun pentimento, ha ancora senso?  Esiste semplicemente l’azione. La capacità, il desiderio, o forse l’istinto, di eseguire, commettere, l’azione. Magia intesa come forza interiore di realizzare i fatti che una mente concepisce. Dal loro punto di vista distorto, dal loro lato oscuro della linea della realtà, gli italiani Dark End , con questo terzo album, mettono tutte queste contraddizioni su un palcoscenico, quello del teatro degli orrori, e danno origine ad uno spettacolo mostruoso, che inietta un’overdose di terrore nelle nostre menti.Altra emozione, altra domanda: terrore malvagio o piacere perverso? Stessa origine. Con una sublime elaborazione di un concetto filosofico, che vaga tra magia, oscurità e patetico orrore umano, i Dark End creano queste 10 tracce, scolpite attorno su un simbolo magico, il triangolo capovolto che porta in una discesa verso l’ignoto, che estirpa le coscienze dalle loro fragili finte sicurezze, ed il cerchio, segno di ciclicità infinta, dove ogni cosa è già successa, e continua a succedere,ogni evento si ripete, ogni emozione nasce, soffre e muore nella paziente ripetizione degli eventi della natura, nella sua totalità ed eternità: dall’iniziazione alla morte. Testi e poesie scritte in forma fantastica, quasi paragonabili a quelle del genio perverso di Dani Filth. Inglese, latino ed italiano che si fondono in un unico canto rituale. Musiche monumentali, sinfonie avvolgenti, movimenti ben amalgamati, drumming supremo, opera che, secondo me, rappresenta ciò che i Dimmu Borgir non riescono più a comporre più dal 2003. Un album che è una preghiera, un anatema, una condanna, un sortilegio. Una rappresentazione del delicato equilibrio tra realtà cosciente ed onirica, disperso nei labirinti della magia, la quale verrà ulteriormente sviluppata nel secondo capitolo di questo album, dando luogo ad un sequel che completerà il cerchio, in un infinto abbandono alle sensazioni musicali e poetiche che i Dark End sono in grado di generare con maestria. Grand Guignol: un teatro drammatico di macabra natura. Un viaggio psicologico, un conto alla rovescia verso l’apocalisse delle coscienze. Le nostre.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10