copSymphonyX(Nuclear Blast) Symphony X. Ed io ci riprovo ancora una volta… tanto, in fondo, sono un instancabile sognatore. Ma partiamo dall’inizio. Eravamo nella prima metà degli anni ’90, parlo di un ventennio fa, quando scoprii questa band americana. Fu una rivelazione. Erano anni caldi, fu l’apice creativo di bands quali Stratovarius, Dream Theater e Angra… e i Symphony X presero tutte quelle finezze tecniche, tutte quelle idee sinfoniche e ci cacciarono dentro una potenza infinita, molta brutalità, una immensa grinta. Si iniziò con l’album omonimo, poi “Damnation Game”. Poi il supremo capolavoro “The Divine Wings of Tragedy”, un album che continuo ad ascoltare oggi. Divenne rapidamente una delle mie band preferite, ed ogni album successivo era per me un appuntamento importante…. ed una delusione terribile! Non discuto sul fatto che una band debba o meno evolversi. Non voglio dire che dopo il successo bisogna rifare le stesse cose, e nemmeno voglio dire il contrario. Ma quando l’album seguente contiene gli stessi riff del precedente, allora la noia diventa pericolosa. Letale. Tuttavia io ho sempre continuato ad insistere, o quasi, ho sempre fedelmente acquistato ogni loro lavoro, anche in edizioni speciali o limited. Magari saltai qualcosa (“The Odyssey” mi manca…), ma nessuno può accusarmi di non aver dato una seconda (e terza, e quarta…) chance agli americani. E rieccomi, venti e passa anni dopo a riprovarci con “Underworld”, uno degli album con cadenza di quattro/cinque anni appartenenti alla recente storia della band. Nel frattempo un po’ di tutto è successo: side projects, altre cose, malattie terribili, guarigioni miracolose… ma tranne Thomas Miller, la band è sempre quella dei primi grandi lavori. Ma com’è “Underworld”? Beh. Di nuovo non c’è assolutamente nulla. C’è il solito percorso di cattiveria crescente la quale, però, si fa alternare da momenti più melodici e coinvolgenti. Allen canta più cattivo. Romeo suona più ricercato. Pinnella è una garanzia. Mi piacerebbe farvi leggere le note stampa dell’album (ma credo siano testi noti), nelle quali la band, in particolare i due citati Allen e Romeo, descrive (in ben 4 pagine!) più o meno ogni secondo dell’album, ogni significato, ogni percorso compositivo, ogni obiettivo uccidendo di brutto il feeling che amo percepire -a modo mio- interpretando grazie alle mie sensazioni il lavoro di un artista. Il riassunto comunque è questo: viene detto che non è un concept, anche se c’è una linea guida, e che ogni singola canzone è stata analizzata al microscopio per essere più efficiente, ottimizzata per essere indipendente (ma appartenente all’album) e capace di dar valore ad ogni singolo strumento, voce in primis. Se prendiamo l’arte, la fotocopiamo e poi ci diamo pure di pennello fino per renderla più vendibile, allora -forse- dell’arte rimane poco. O nulla. “Underworld” è un album potente. Completo. Piacevolissimo da ascoltare. Ricco di cose interessanti, di momenti catchy, di ritmiche coinvolgenti. Suonato in maniera eccellente. Registrato in maniera invidiabile. Ogni strumento reso unico, basso e batteria compresi. Ma sono tutti accenti. Tutti momenti. E questo per cosa? Per undici canzoni. Solo undici normalissime canzoni, contenenti materiale che sicuramente è presente in tutto ciò la band ha prodotto in precedenza. Canzoni buone, certo, ben fatte, ma forse commerciali… non nel senso di orientamento alle masse, piuttosto decisamente compatibili con format odierni, dove nessuno vuole ricavarsi i venti e passa minuti per una singola canzone. Un disco valido, pieno di buona musica, da avere ed ascoltare, ma comunque un disco normale, senza novità, pieno di richiami al passato della band, più orientato a perfezione che creatività. Musica da maestri, musica di riferimento. Ma ormai priva di ispirazione, tanto che continuo a sentire richiami a fraseggi o momenti che trovo su dischi come “The Divine Wings of Tragedy”. Genio inifnito o povertà creativa? A questa domanda, mi dispiace, io non so proprio rispondere.

(Luca Zakk) Voto: s.v.