copwitchwood(Jolly Roger Records) Nuova band italiana, nata dalle ceneri dei Buttered Bacon Biscuits, che registra questo album freddamente descritto come “dieci pezzi tra hard rock, progressive, psych e southern, atmosfere vintage e oscure con un attitudine marcatamente 70’s.”. È restrittivo descrivere questo immenso disco, questa lunghissima opera (un’ora e venti!) con un asettico elenco di stili, di generi, anche se tutti perfettamente adeguati; vedete, ci sono modi diversi di fare hard rock, prog, psych e qualsiasi altra cosa che viaggi nel tempo tra oggi e gli anni ’70; ed una descrizione, una semplice etichetta fatta giusto per capire su quale scaffale deve essere messo questo disco dentro il negozietto giù in paese, dietro l’angolo, non può descrivere cosa ci sia veramente dentro. Però c’è una cosa scontata, ovvia: un album non è un libro da leggere o un dipinto da ammirare. Un album va ascoltato, sentito, udito e va capito. Un album è come un ospite che deve essere invitato a casa, gli deve essere aperta la porta, fatto accomodare, un ospite importante che deve raccontare e intrattenere con qualcosa di grandioso. E se è anche vero che ci sono ospiti fuggevoli, veloci, che si intrattengono pochi minuti, esistono anche quelli che rimangono a pranzo. Poi pure a cena. E già che ci sono anche la notte. E tutto il giorno dopo e quello che segue. E, poi, non se ne vanno più. “Litanies From The Woods” è uno di questi ospiti, ma la sua presenza è puro piacere, una compagnia insostituibile, un qualcosa che riempie una casa altrimenti vuota, desolata. Ed allora l’ospite con quel look marcatamente 70s riesce ad intrattenere con racconti che spaziano nel tempo. Che toccano gli argomenti più duri. Ma anche quelli più fantastici, fino a quelli psichedelici o visionari alla Sam Gopal, senza dimenticare sonorità che sfiorano il southern, il country, il doom, lo spaziale, il rituale, il folk. Ed ecco avventure di tempi passati con un prog accattivante su “A Place For The Sun” dove emergono un Hammond ed un flauto eccitanti. “Rainbow Highway” è puro rock, ma pieno di evoluzioni contorte. “The Golden King” è un pezzo spirituale, ed è proprio dove ci sento molto di quel Sam Gopal: un pezzo diretto alle emozioni, un pezzo per sognare, immaginare, viaggiare. Godere. Teatrale la lunga “Shade Of Grey”, decadente, intensa e trionfale “The World Behind Your Eyes”. Ogni idea ed ogni ispirazione della band converge con intelligenza ed efficienza sulla traccia più lunga del disco, “Farewell To The Ocean Boulevard” (oltre il quarto d’ora!), nella quale i sei validi musicisti si scatenano regalando ancora una volta sogno e coinvolgimento. Istinto southern su “Song Of Feedom”, prima di altri dieci minuti di sogni fantastici e futuristici con la conclusiva “Handful Of Stars”. Un ospite davvero invadente, eccessivo, esuberante che non se ne vuole proprio più andare. La cosa assurda è che siete voi che lo ospitate, siete voi che lo volete, siete voi che non lo lasciate andare. E siete voi che, in sua compagnia, immaginate tanti colori, tanti viaggi, tanti concetti, tante cose… tutto tranne l’idea di cacciarlo di casa.

(Luca Zakk) Voto: 9/10