coplegendofvalleydoom(Crime Records) Ha senso, alla fine del 2015, pubblicare una fantasy metal opera? Beh, se lo fai, devi concepire qualcosa di veramente stellare, e non avere paura dei cliché e dei dischi che sono stati pubblicati prima del tuo… Marius Danielsen è norvegese, è il leader di una band a me del tutto sconosciuta, i Darkest Sins, e la sua “Legend of Valley Doom” soddisfa tutte le condizioni richieste. La lista degli ospiti (moltissimi dei quali naturalmente intervengono solo per un solo o un brano) è sconfinata e si prenderebbe da sola due pagine: si va da Timo Tolkki a Chris Caffery, da Edu Falaschi ad Alex Holzwarth, da Mark Boals a Ross the Boss, da Mike LePond agli italiani Alex Mele (Kaledon), Alessio Lucatti (Vision Divine) e Giorgio Novarino (ex bassista dei Bejelit). I cliché, nel bene e nel male, ci sono tutti: la storia è banalmente fantasy, il vecchio re viene ucciso da un cattivone a cavallo, il figlio prende il suo posto e arma i pacifici abitanti della sua valle contro demoniaci avversari… ma soprattutto: Marius ha un incredibile talento citazionista, che lo porta a comporre brani che spesso sono fatti solo di ritagli di altri più famosi, ma che messi insieme fanno la gioia di ogni appassionato di power metal! “The Battle of Bargor-Zun” ha il fascino dei vecchi Avantasia, quelli dei primi due album: ma il trionfalissimo ritornello sa più di Gamma Ray, se non di Rhapsody of Fire. Forse la cosa migliore dell’intera opera è il primo minuto di “The Prophecy of the Warrior King”: un preludio acustico di una epicità sorprendente, che si sviluppa poi in un’altra buona tirata symphonic power, stavolta chiaramente rhapsodyana, animata dall’inconfondibile voce di ‘Ripper’ Owens. Ancora un’accoppiata cori maestosi/refrain boombastico in “Chamber of Wisdom”, roba da estimatori dei Dark Moor più ispirati; ma io ho pensato anche a una delle migliori (e più sottovalutate) opere power di sempre, “Days of rising Doom” degli Aina… se non addirittura ai dimenticatissimi Dawnrider di Tarek Maghary. Clamoroso scivolone con “Mirror of Truth”, che copia pari pari il refrain di “The Wicker Man” dei Maiden (qui siamo ben oltre il citazionismo, anzi direi di fronte a un plagio da denuncia); arriviamo quindi agli oltre quattordici minuti della titletrack. Il ritornello che finisce con ‘…Land of the Free’ ha di nuovo molto di hanseniano, e il solo attorno all’ottavo minuto è Turilli-oriented, ma il brano ha comunque una sua dignità e riesce ad appassionare in più di un frangente. Altro refrain da Avantasia era “Scarecrow” con la godibile “Lost in a Dream of no Return”, mentre “Free as the Wind” rubacchia il ritornello a “Warriors of Light” dei Freedom Call. Si chiude con il mid-tempo (o ‘lentone’) “The fallen Heroes of our Land”, reminiscente delle cose più epiche dei primi Hammerfall – questo prima di una outro dai suoni tribali decisamente fuori scala. Dopo questo lunghissimo sproloquio, qual è la vostra opinione su Danielsen e la sua metal opera, di cui questa naturalmente è soltanto la prima parte? Molti saranno inorriditi, lo so bene, ma spero che quei pochi che ancora si emozionano con “Symphony of Enchanted Lands” stiano raccogliendo informazioni. Non siamo a quel livello e probabilmente nessuno ci tornerà mai… ma il 1997 è passato da un pezzo, e prodotti come questo, nel 2015, vanno a mio parere sostenuti – anche e soprattutto perché le canzoni valgono la spesa.

(René Urkus) Voto: 7,5/10