coprhapsodyoffire4(AFM) Per chi, come me, è cresciuto a pane e power metal, un nuovo album dei Rhapsody of Fire è sempre un evento: soprattutto se il precedente (QUI recensito) ti è piaciuto, ma non ti ha fatto impazzire. Rompiamo dunque subito gli indugi: “Into the Legend” è migliore di “Dark Wings of Steel” e – parlo naturalmente da nostalgico fan di vecchia data – si colloca anche sopra “From Chaos to Eternity”; non può competere con le prime produzioni, che restano assolutamente inarrivabili, ma è il top che Staropoli e compagni abbiano finora proposto negli anni 2010. E scusate se è poco… Ecco “In Principio”: tre minuti solenni, più sullo stile delle vecchie intro che delle nuove, con un recupero delle atmosfere di “Symphony of enchanted Lands II”. Segue “Distant Sky”: una chitarra impazzita, stile Turilli ma con, a tratti, delle virate prog, dirige un brano potente e maestoso, con un refrain molto bello e di nuovo più tendente al passato che a “Dark Wings of Steel”. Abbiamo quindi la titletrack: un altro refrain ben concepito, in crescendo e molto lungo, mentre la strofa è serratissima e sembra riprendere, almeno come idea, quanto ascoltato in “Reign of Terror” o “Aeons of raging Darkness”. Vetta del disco è “Winters Rain”: cori da pelle d’oca e l’ennesimo ritornello da applausi si montano su quella struttura oscura e progressiva sulla quale molti brani degli ultimi ROF sono stati costruiti. Il risultato sono otto minuti in stato di grazia, che sanno prendere ed emozionare l’ascoltatore. Tonalità positive e sprazzi medieval/folk in “A Voice in the cold Wind”, mentre “Valley of the Shadows” appartiene a quella famiglia di brani ultrasinfonici in cui sono anche, giusto per dirne un paio, “The mighty Ride of the Firelord” o l’immortale “Gargoyles, Angels of Darkness”. Intensa anche la ballad “Shining Star”, che rimanda ancora agli esordi della band (io ho pensato a “Wings of Destiny”, ma probabilmente perché sono troppo affezionato a quella canzone…). La coppia “Realms of Light”, più carica e ritmata, e “Rage of Darkness”, classico up-tempo ubriacante, tengono carico l’ascoltatore fino alla doverosa suite finale. “The Kiss of Light”, sedici minuti e quarantacinque secondi, ha l’incredibile dono dell’immediatezza: la strofa è costruita in modo tale che è facilissimo memorizzarne il ritmo, la fase acustica in italiano è meravigliosa, la progressione finale di grandissima epicità. Un disco d’eccezione per spazzare via sterili critiche e inutili confronti, e nonostante i recenti (e non del tutto pacifici) cambiamenti di lineup. Bentornati, guerrieri dalla spada di smeraldo!

(René Urkus) Voto: 8,5/10