copsonataarctica5(Nuclear Blast) Per i Sonata Arctica è arrivato il momento del nono album, che porta nel titolo un riferimento evangelico (la critica ‘nona ora’ in cui Cristo spirò): ma Tony Kakko ha subito dichiarato che non intende la frase in senso religioso, ma vuole soltanto porre l’accento sulla crucialità del momento che, a suo giudizio, starebbe attraversando il rapporto fra l’uomo e la Terra. “The ninth Hour” non è, in ogni caso, un concept: i testi sono legati da un sottile filo rosso, ma i brani sono indipendenti fra di loro. E come suona? Per farci un’idea, riteniamo i primi quattro dischi assolutamente inarrivabili. “Unia” è un disastro, non c’è che fare; “The Days of Grays” ha apportato molti elementi nuovi al sound, risultando un ottimo comeback. “Stones grow her Name” è una deriva power/prog decisamente poco omogenea, “Pariah’s Child” un ritorno alle origini sufficientemente riuscito; ecco, diciamo allora che “The ninth Hour” è meglio di “Stones” e poco meno bello di “Child”. È un disco un po’ pesante, celebrale, lontano anni luce dall’istintività di “Reckoning Night”, ma mai davvero noioso; ha delle finezze, ma anche dei momenti di vuoto. Non mi sembra concepito per coinvolgere, ma piuttosto per durare nel tempo… e se lo farà, non lo possiamo sapere certo già ora! Se “Closer to an Animal” è una opener con poco mordente (e il giro di keys può forse ricordare troppo “Paid in full”), è più dinamica “Life”, che offre anche un bel chorus orecchiabile. Per avere il primo brano veramente riuscito dobbiamo però aspettare la power ballad “We are what we are”: una canzone in crescendo, che mantiene alto il pathos in ogni momento grazie a un bel piano e a una interpretazione più ispirata di Tony Kakko. Se volete la teatralità delle cose migliori di “Days of Grays”, con le tastiere da soundtrack gotica e diverse complessità sonore, dovete però rivolgervi a “Till Death’s done us apart”; dopo il classico power di “Rise a Night”, abbiamo “White Pearl black Oceans Part II – By the Grace of the Ocean”. In linea di massima sono sempre stato contrario alle varie “Land of the Free Part II”, “Symphony of enchanted Lands Part II”, “Operation: Mindcrime Part II”, però in questo caso amo così tanto la Part I (da “Reckoning Night”, del lontanissimo 2004) che sentirne recuperare temi, storia e atmosfere mi ha colpito e coinvolto. La chiusa è affidata a “On the Faultline (Closure to an Animal)”, sorta di ‘defaticamento’ dai toni incredibilmente soft, per quanto non disprezzabili. Che dire allora? Il piatto è ricco, ma molto particolare. Alcune pietanze sono dei veri e propri esperimenti, e non tutto è riuscito. Se vi aspettate un’ultrapower primi anni 2000, qui non ce n’è praticamente per nulla: i Sonata suonano oggi un power/prog che possiamo definire ‘di classe’, spesso maturo, talora un po’ vacuo. Se il vostro modello è “Ecliptica”, pregasi rivolgere altrove; se gli ultimi esiti della loro discografia non vi sono dispiaciuti, accomodatevi non per l’headbanging, ma per un bicchiere di vino seduti sul divano mentre fuori piove.

(René Urkus) Voto: 7/10