(Napalm Records) E venne il giorno in cui John Garcia imbracciò un’acustica e disegnò con le dita melodie arse e sconfinate. Scorrono come la colonna sonora di uno sguardo imbevuto di ricordi, tristezza e speranza questo set acustico imbastito dall’ex Kyuss per “The Coyote Who Spoke In Tongues”. Album affatto scontato eppure vicino ad altre cose che Garcia ha creato nel corso della propria carriera, perché “The Coyote Who Spoke In Tongues” pone al centro di tutto il comporre di Garcia, da sempre visibile e udibile in ogni suo progetto. L’ultima divinità dello stoner crea un mondo di note che sbocciano da corde tese e risuonano in casse di legno. L’elettrificazione è bandita, la sostanza del suono è questo. Il manto di stelle si distende, il vento, i versi del coyote e un intimismo che abbraccia folk, blues, e lo stesso desert sound, il tutto imbastito con la chitarra di Ehren Groban (War Drum), il basso di Mike Pygmie (Mondo Generator, You Know Who) e le pecussioni di Greg Saenz (The Dwarves, You Know Who). “El Rodeo”, “Green Machine”, “Space Cadet” e “Gardenia”, canzoni nate nei Kyuss, ricompaiono in questo album senza mai andare sotto il livello del coinvolgimento e di una bellezza significativa. Anzi “Green Machine” e “Gardenia” subiscono una trasfigurazione d’effetto, “El Rodeo” è come sempre eccezionale e “Space Cadet” resta in orbita lisergica. Rimette tutto in gioco Garcia con queste versioni, ma era il momento di farlo visto che «Questo disco è uno dei più importanti della mia carriera, difficile e impegnativo da fare, ma vale ogni minuto di sudore!». Si sente il lavoro, l’impegno, lo studio per un album che rivisita qualcosa e presenta delle novità. “Argleben II” è una continuazione del brano presente nel primo lavoro solista dell’artista, le inedite “Give Me 250ml” e “Kylie”, oltre alla frizzante “The Hollingsworth Session” e la strumentale e conclusiva dall’umore bipolare “Court Order”completano un album decisamente riuscito.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10