copgardenja(Autoproduzione) Il djent metal nelle pagine di Metalhead arriva soprattutto attraverso le pubblicazioni di band francesi. Il genere sta prendendo piede da qualche tempo e anch’esso credo che tra non molto potrebbe dare vita a qualche suo surrogato o sotto-genere, visto il maturare di formazioni che seguono le orme di quelle dei Meshuggah, Gojira e loro derivati. Di conseguenza trovo stimolante ascoltare un lavoro di questo tipo proposto da un realtà italiana. I Gardenjia hanno pubblicato un EP ed ora un vero e proprio album, nel quale infondono tutta la propria visione musicale, in un tessuto sonoro effettivamente di tipo djent metal. A differenza di molti però, o di diverse cose udite dai francesi, i Gardenjia non si limitano a creare un intreccio di ritmi, riff e melodie sussultanti, spezzettate o dissonanti, ma realizzano anche una serie di flussi melodici. Trame, linee concettuali delle melodie che sviluppano un percorso. L’iniziale “Anterem” pur essendo una canzone brillante mi sembra eccessivamente ingolfata dai cliché del genere, basta però attendere la seguente “In Blue” per capire che gli italiani hanno idee concettualmente diverse dal solito. La canzone ha le sue fratturazioni, ma sviluppa anche una sottostante melodia che sembra il frutto di una fusione tra linee vocali alla Yes, sonorità Fear Factory e altro. Accostamenti sballati? Non credo, i Gardenjia creano improvvisazioni e situazioni inaspettate, dove il ruvido sound che rotola come un macigno a tratti si apre in modulazioni melodiche totalmente fuori registro. E’ un’iniziativa continua quella di variare le canzoni e affiancare più livelli e registri, ma non solo di tipo melodico, a volte è anche una questione di stili e sonorità diverse nel metal. Ci sono richiami al prog death, al mathcore e a cose come quelle dei Neurosis. Ai puristi però posso precisare che l’ambito, il genere, è comunque il djeng metal. I brani sono cantati in inglese, con inserimenti di strofe in italiano. Un sound contorto, ma dinamico e con una propria musicalità. C’è sperimentazione in questo album, cosa non facile per un lavoro che si muove in un territorio stilistico così claustrofobico ed ottuso.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10