Il 2020, diciamocelo, è partito un po’ male: sono morti musicisti mitici, quasi ci scappava un’altra guerra, ci sono virus ed epidemie, crisi economica, il clima è impazzito e l’ecologia è diventata un problema incomprensibile. In questo contesto instabile, in questo scenario che offre poche speranze all’umanità, un’altra catastrofe ha colpito l’Europa: il tour di Abbath, una piaga che ha invaso una dozzina di paesi del vecchio continente, con quel vecchio animale da palcoscenico che si rifiuta di mollare, che cade ma si rialza, che si indebolisce e poi torna più forte e cattivo che mai.

Il suo black metal è storia, in quanto è innegabile che il sound di Abbath è la continuità genetica e storica dei mitici Immortal, band e personaggi indissolubilmente legati alla storia del primo black metal norvegese, quello degli inizi degli anni ’90, quello caratterizzato da storie oscure, diaboliche e violente.

Abbath porta il male, certo, devasta e stermina, non ci sono dubbi, ma Sua Oscura Maestà Olve Eikemo ha voluto esser sicuro di avere al suo comando un efficiente esercito, per infliggere maggior dolore, ovunque, senza lasciare resti vitali, senza prendere un solo prigioniero. Un esercito che sferra attacchi massacranti ed improvvisi con un cinico ed efferato metodo assassino: la violenza dei Nuclear, l’oscurità degli Vltimas, l’apocalisse infuocata dei 1349 ed infine il colpo di grazia di Abbath.

Se la vostra misantropia intrinseca ambisce a non risparmiare nessuno e nemmeno la vostra terra, allora la tappa italiana del tour è stata una perfetta occasione per subire una simile impietosa incursione, con il Campus Industry Music teatro di una battaglia sanguinolenta e ferocemente brutale.

I Nuclear credo non abbiano nemmeno un’etichetta che li supporta. Hanno un moniker potente ma al giorno d’oggi anonimo: quante decine di band, nella storia del metal, si sono chiamate Nuclear-qualcosa o Qualcosa-Nuclear? Troppe. Davvero troppe.

Decido di sentire come suonano i Nuclear per qualche minuto. Un po’ per passione, un po’ per dovere di cronaca. Ma francamente non seguo il thrash da molti anni, non è più una musica che mi attira particolarmente. La mia idea era sentire qualche brano per poi andare a cercare qualcosa da mangiare. Ma, sorpresa, mi ritrovo ancora davanti al palco a fine concerto! È indubbio: i Nuclear sono una potenza travolgente. Il loro thrash è originale: tanta ignoranza, pochi libri, pochi pensieri e molta violenza caratterizzata da riffoni micidiali, break down assassini che provocano head banging incontrollabile, roba che sveglia i morti, scuotendo le fondamenta del locale!

Vedete, se oggi dei tizi -che ne so- svedesi per esempio, decidono di mettere in piedi una band con suoni metal tradizionali, siano essi thrash, death o anche hard rock, è ovvio che partiranno con in testa tutto quello che è stato fatto negli ultimi 40 anni. Diventa quindi scontato che ciò che poi fuoriesce non sarà altro che una ricerca quasi scientifica di suoni e riff storici, rivisti, riproposti, corretti e potenziati per riesumare proprio quelle sonorità e, forse, stimolare una fan base di amanti della vecchia scuola. Ma le bands di posti come il Sud America non c’erano in quel periodo. I nomi da quei paesi sono pochissimi se confrontati con quelli del nord del pianeta. Tra dittature ed uno sviluppo economico-culturale diverso dal Nord America o dall’Europa, loro sono in un certo senso ‘un passo indietro’. Attenzione, non è un’accusa, non è un punto a svantaggio, anzi! La loro produzione metal e, in questo caso, thrash odierna non ha subito l’immensa influenza dei suddetti tizi svedesi i quali hanno visto e sentito in prima battuta l’evoluzione del suono negli anni. Il thrash che viene da laggiù (vale anche per il black e il metal più classico) è ancora allo stadio primordiale, tanta violenza molto poco politicamente corretta, ed il risultato che ne emerge è sferzato da una massiccia dose di purezza, di sincerità emotiva e sonora. I Nuclear portano in giro per il mondo un thrash metal vero, non copiato. Un thrash originale, non rifatto. Un thrash spontaneo e non composto a tavolino. Questa loro indole naturale, poi, si rivela e si mette in mostra sul palco, con in aggiunta ad una immensa dimostrazione di professionalità (i presenti al loro concerto erano molto meno di quelli delle band successive, purtroppo e … ahimè… ovviamente). Con i ragazzi poi ho scambiato due chiacchiere: sinceri come la loro musica, spontanei come la loro impostazione scenica: in un momento di quiete (una tregua della battaglia della serata) entro in area merch: c’era Dave Vincent con dei fans, c’era Rune “Blasphemer” Eriksen… ma poi rimaniamo solo io, due dei Nuclear e la gentile addetta al banchetto delle quattro bands. Sbircio l’offerta dei Nuclear e noto che i due musicisti mi osservano quasi tifando per me: ‘Dale que lo compra!’ (dallo spagnolo: ‘Dai che lo compra!’)… e una volta completato l’acquisto li vedo sorridenti, disponibili e sinceramente grati! Immagino che una band pressoché sconosciuta, costretta ad aprire per le altre note realtà ogni sera, sia un po’ rassegnata ad essere la cavia del sound di ogni notte oltre che l’ultima ruota del carro per quanto riguarda le vendite, anche per il fatto di offrire un genere sostanzialmente molto diverso da quello degli altri tre acts. Ma questa loro autenticità emotiva, sia sopra che giù dal palco, ai miei occhi li ha resi da subito un mito! Favolosi!

Vedere Dave Vincent, leggenda dei Morbid Angel, suonare subito dopo gli opener è strano. Vedere Flo Mounier suonare con un piccola batteria (confrontata con quella di Abbath) è bizzarro, considerando che il ragazzo ha picchiato anche per Annihilator, oltre che -tra gli altri- i Cryptopsy. Vedere Rune Blasphemer con poco spazio libero su un palco ridotto è altresì assurdo. Ma a Dave e soci non è sembrato importare molto. Concerto immenso, con un Dave Vincent tuonante, una voce immensa specialmente nelle favolose divagazioni baritonali. Citando un collega (qui): ‘Si resta annichiliti di fronte alla potenza di Vincent e soci, quanto impressionati per l’esecuzione. Non da meno spaventati per quel sottile, torbido e perfido flusso melodico che serpeggia dall’inizio alla fine…’ del concerto!

I 1349 avevano suonato recentemente al Campus, in occasione del Black Winter Fest (qui), ma questa volta non erano un numero dentro ad un eterogeneo bill massiccio: erano la band precedente dell’headliner! Quindi ingaggiati in un tour ad-hoc con una produzione apposita, ed infatti la loro esibizione è stata ancor più travolgente, devastante ed incendiaria. Un concerto dei 1349 è sempre difficile: o li ami, o non li vuoi proprio sentire. Una esibizione dei 1349 ti travolge, ti devasta. Assieme ai Mysticum, i 1349 sono tra le pochissime band che dopo un loro spettacolo ti lasciano atterrito, ti senti sconvolto, stordito e con il ritmo cardiaco alterato… un assalto frontale disumano… ti ritrovi senza respiro e ti sembra di esser stato calpestato da uno schiacciasassi. La performance di Frost, nonostante la batteria ridotta e posizionata in basso è stata puro annichilimento. Ravn era carico come una testata nucleare, dinamico, coinvolgente e coinvolto. Il misterioso Seidemann era l’incarnazione del demonio e Archaon era oscurità mista a occasionale virtuosismo. L’Aural Hellfire ha colpito ancora e, nella visione globale dell’assalto di questo esercito della morte, la peste di Oslo del 1349 è stata la scelta ideale per protrarre la devastazione, la sofferenza e l’estinzione prima dell’esibizione di un rinato Abbath!

Abbath, appunto. Lui è in ottima forma. In splendida forma! Le recenti vicende dovute alle sue condizioni non certo ottimali appartengono decisamente al passato. C’è anche il nuovo bassista: dinamico, bravo, coinvolgente e -apparentemente- interessante per il nutrito pubblico femminile. Quel vecchio animale da palcoscenico, Mr. Eikemo, non ha perso il mordente, la forza, la voce e l’impatto scenico. La set list ben nutrita era forse orfana di qualche ‘hit’ degli Immortal, ma è naturale che un artista debba andare avanti… e dopo Immortal ed I, Abbath ha fatto molta altra strada, rendendo auspicabile il fatto che ormai la direzione stilistica sia orientata alla SUA musica e non ad un revival di una band che non esiste più, almeno nell’impostazione cara a tutti noi.

Una serata di metal estremo immensa. Pochi superstiti, forse nessuno. Una armata internazionale che ha conquistato e sta ancora conquistando mezza Europa.

Quattro band fantastiche, le quali con diversi stili hanno offerto un’interpretazione personale e complementare della musica estrema, chiudendo un cerchio, dimostrando superiorità.

‘Outstrider’ dopotutto significa superare a grandi passi, sopravanzare, superare qualcosa per eccellenza di qualità. E questa data ha dimostrato senza dubbio una maestria sublime nell’autentica arte della devastazione sonora!

(Luca Zakk)