coptestament(Nuclear Blast Records) Non ci sono dubbi: il 2016 è sicuramente l’anno del ritorno dei giganti del thrash. Dopo le notevoli uscite da parte di Megadeth, Death Angel, Destruction e Sodom, ora è arrivato il turno dei Testament, con quello che a mio avviso è il miglior album della leggendaria band statunitense. La formazione capitanata dal gigantesco Chuck Billy ha sfornato un album epocale, in cui affiorano tutte le migliori caratteristiche mostrate in oltre trent’anni di carriera. Eric Peterson ha descritto “Brotherhood Of The Snake” come punto d’incontro tra “The New Order”, “The Gathering” e “Dark Roots Of The Earth”. La definizione mi trova perfettamente d’accordo, e ci sento anche echi di “Souls Of Black”, già presenti nell’album precedente. L’accoppiata di asce Eric Peterson/Alex Skolnick è una garanzia, con riffs inconfondibilmente Testament, compatti, tecnici e devastanti del primo, solide basi per gli assoli melodici e taglienti allo stesso tempo di Alex. Per non parlare della sezione ritmica, composta da due fuoriclasse come Steve Di Giorgio e Gene Hoglan, un’accoppiata che farebbe invidia a chiunque e permette alla band di attuare soluzioni ritmiche complesse e brutali allo stesso tempo. E poi c’è lui, il gigante indiano, la voce del thrash metal (per quanto mi riguarda): l’immenso Chuck Billy, in forma smagliante, il quale sfodera una prestazione ineccepibile, sia quando si tratta di ruggire (il suo growling fa impallidire la magior parte dei cantanti death metal), sia nelle parti melodiche, espressive e potenti. La title track apre l’album con un riff veloce, seguito dal growl brutale di Chuck, con Gene dietro le pelli che si produce in blast beats. Subito dopo il pezzo si fa più pesante e monolitico, con accelerazioni nel ritornello. Un intermezzo melodico anticipa un riffing stoppato, con voce nuovamente estrema che si protrae fino alla fine del pezzo. “The Pale King” è più pacata, con aperture melodiche, alla “Dark Roots Of The Earth” (la canzone). “Stronghold” è una cavalcata thrash veloce, potente e con ritornelli memorabili. “Seven Seals” ha un incedere un po’ particolare per i Testament, con ritmiche vicine all’epic metal ed un chorus secco, scandito che da il via ad un mid tempo spezza ossa, durante il quale è impossibile non fare un headbanging furioiso. “Born In A Rut” è cadenzata, potente, scandita dalla batteria di Gene, che tesse ritmiche intricate e fantasiose, mentre il basso di Steve è martellante. Con “Centuries Of Suffering” si torna alla velocità assassina, richiamando gli Slayer di “War Ensemble” nel riffing, ma con assoli veloci ed elaborati di Skolnick dallo stile inconfondibile. Brano assolutamente apocalittico! “Neptune’s Spear” è un altro mid tempo dal ritmo irresistibile, ed anche qui è un’impresa ardua tenere la testa ferma. In questo pezzo Skolnick si esibisce in uno dei migliori assoli del suo repertorio, sfoggiando una classe ed un gusto melodico di grande spessore. Gene Hoglan sale in cattedra sulla velocissima “Black Jack”, con scorribande ritmiche bestiali, mentre le chitarre snocciolano riffs indiavolati. Bello il rallentamento centrale, dove il solito Alex mette la sua firma in fase solista. “Canna Business” è il prototipo del Testament sound, tanto che potrebbe essere inserito in qualsiasi album della loro carriera. “The Number Game” è thrash all’ennesima potenza, classico pezzo adatto a chiudere in bellezza un album che è già un classico, in cui la furia degli esordi, il gusto melodico di metà carriera e la classe maturata con l’esperienza si uniscono, creando la summa, l’essenza del sound di una band fondamentale in ambito thrash metal. Capolavoro assoluto.

(Matteo Piotto) Voto: 10,666/10