Quando guardo un concerto non passo il tempo solo con la musica, ma osservo i musicisti sul palco, le luci, come sono vestiti, se hanno delle abitudini. Osservo anche la gente, mi concentro sulla risposta del pubblico quando un musicista incita, parla o chiede qualcosa alla folla. L’interazione tra le due controparti di un concerto è parte dello spettacolo. Il 27 febbraio di due anni fa ero proprio a Le Grillen di Colmar per gli ANVIL (QUI il precedente report). Allora la sala era piena e la band aveva pubblicato “Pounding the Pavement”, album ben accolto i cui pezzi dal vivo hanno funzionato davvero bene, viste le entusiaste reazioni del pubblico. Questa volta la sala non era del tutto piena – è la seconda settimana delle vacanze scolastiche e qui molta gente parte e va fuori –, ma era comunque gremita da gente di ogni specie: giovani, adulti, attempati, uomini e donne. Tutti con lo stesso entusiasmo, alimentato dalla sana allegria degli Anvil. Steve ‘Lips’ Kudlow è un simpaticone e Chris Robertson non suona un solo brano senza fare quelle facce buffe o muoversi a tempo, ma in modo goliardico. Fine del concerto, tutti felici! Siamo tutti contenti e lo leggo su ogni volto che incrocio, e tutti siamo armati delle t-shirt degli Anvil.

L’INIZIO È HARSH!

Ad aprire gli Harsh, giovani parigini con look alla Guns ‘n’ Roses, Steel Panther o Poison, che sfoderano un glam rock, che sia poi anche un po’ street o hard rock o cosa altro non ha importanza, ma è inaspettatamente coinvolgente. I ragazzi forti dell’essere connazionali col pubblico, hanno tuttavia sinceramente ben coinvolto la platea che pur non essendo ancora folta a quell’ora, erano le 19 passate, si è ritrovata un fiume di rock and roll ben suonato. Gli Harsh smontano poi i propri strumenti da soli, in modo diligente; vanno poi posizionarsi al loro banco del merchandising per ricevere il giusto riconoscimento dei più. Il loro set è stato un piacevole riscaldamento.

Foto: Alberto Vitale

 

ANVIL ALLA PRIMA

Toh, Kudlow e Robertson che sbucano dal retro del palco, parlottano dietro il muro delle casse. Chris Robertson va al suo posto, Kudlow anche e non fanno caso al pubblico, nonostante poi Robertson scambi qualche parola a distanza con qualcuno di noi. Compaiono a freddo, senza intro, annunci, luci spente. Non ne hanno bisogno, perché gli Anvil sono proprio la band che arriva imbraccia gli strumenti, avvia gli amplificatori e suona. Noi abbiamo tutti bisogno di questo e abbiamo atteso due anni. L’inizio degli Anvil è canonico: Steve Kudlow si invola verso la scaletta davanti al palco, passandomi accanto, per andare come d’abitudine a schitarrare in mezzo al pubblico, chiuso in cerchio attorno a lui per “March of the Crabs”. Rituale elettrizzante. Il ghiaccio è rotto. Mi piace un casino vedere questo sessantatreenne svuotare fulmini di rock sulla gente sorridendogli in faccia. A quell’età io sarò così gioviale e allegro? Difficile, non lo sono ora che ne ho solo venti di meno. Dagli anni ’80 ad oggi, Kudlow porta ancora in giro per il mondo quella carica frammista a un simpatico entusiasmo. Di ritorno sul palco, Steve ‘Lips’ Kudlow non è contento di come è stato arrotolato il cavo e ci pensa lui a farlo. Il tempo passa, tutti attendono mentre è intento ad attorcigliare quel cavo. Robertson lo osserva, mentre Robb Reiner lo guarda quasi perplesso e ad un certo punto se ne va! Ritorna. Tutto è pronto e si comincia. “Legal at Last”, la title track del nuovo album, “Badass Rock ‘n’ Roll”, “Free as the Wind”, canzone dedicata a Lemmy del quale Kudlow ne parla sempre con piacere e di come con lui il tempo passasse senza accorgersene, e bevendo ovviamente. In scaletta anche “On Fire”, la ben accolta “Bitch in the Box”, “Metal On Metal” e “Swing Thing” con il supremo assolo di batteria dell’altrettanto supremo Robb Reiner, 61 anni di classe pura. Quel mattacchione di Kudlow anche in questo concerto si esibisce nel suo personale assolo con l’ausilio di un vibratore. È fondamentale mantenere le buone abitudini, anche in questa che è la prima data del “Legal at Last Tour 2020”.

(Alberto Vitale)