L’hair metal per qualcuno è inconcepibile. Vedere capelli cotonati e laccati, pantaloni attillati, pallette, make up, atteggiamenti lascivi, sono ridicoli e non pochi faticano a capire perché ultimamente certe band e artisti del genere sono ritornati in auge. Riscoperta o nostalgia? Nuove generazioni che sbalordite si approcciano comunque a certi musicisti? Ci sono delle motivazioni ben precise ma andiamo oltre, non è la motivazione di questo pezzo.
La BMG pubblica un box dedicato ai Dokken, tra i nomi di spicco dell’ondata hair metal e AOR rock. Il box è previsto sia in formato CD che vinile e il cui contenuto è perfettamente esplicato nel titolo, “The Elektra Albums 1983 – 1987”.
Don Dokken, cantante e musicista, inizia con una band chiamata Airborn a metà anni ’70 a Los Angeles e i suoi Dokken prendono vita nel 1979. Registrano il primo demo che circolò come bootleg per molto tempo con Micheal Wagener che era il tecnico del suono degli Accept, inoltre il bassista dell’epoca negli Accept Peter Baltes, figurava nel demo perché i Dokken non avevano ancora un bassista definitivo. In Germania, dove appunto il demo “Back in the Streets” venne registrato, permise a Don Dokken di incrociare il suo destino con gli Scorpions per un breve periodo di tempo. Questa però è un’altra storia.
Il ritorno della band negli USA segnò l’ingresso in formazione del talentuoso chitarrista George Lynch, ben due volte vicino a diventare il chitarrista di Ozzy Osbourne con la prima volta accantonato in favore di Randy Rhoads e da Jake E. Lee la seconda. Da quel momento la band andrà in crescendo nonostante una partenza bislacca. “Breakin’ the Chains” era il primo album dei Dokken ma pubblicato nella sola Europa nel 1981, però la firma con l’Elektra permise alla band di ritornare a mettere mano su quelle canzoni e renderle più efficaci.
Nacque così “Breaking the Chains”, ovvero il primo album con una ‘g’ rispetto al suo predecessore e con in più delle canzoni corredate da un mordente a metà tra hard rock ed heavy metal. “Breaking the Chains” però non ebbe un gran riscontro di vendite e l’etichetta dovette ricredersi. Paradossalmente i Dokken però avevano più seguito nel continente europeo che in America.

“Breaking the Chains” è rivestito di suoni freddini e con una batteria tipica degli anni ottanta, soprattutto però possiede canzoni dal marchio AOR e in tal caso proprio la title track oppure “Nightrider, mentre “In The Middle” è semplice ma efficace, mentre è arrembante “I Can’t See You”. Poi esiste un gruppetto di pezzi energici, degnamente hard rock, come “Live To Rock (Rock To Live)”, “Stick To Your Guns”, a suo modo anche “Felony” che resta un’ottima canzone e poi “Seven Thunders” e la motleyana “Young Girls”. È un esordio semplice e spontaneo, stilisticamente mai del tutto heavy metal, in parte glam e comunque fatto con canzoni ancora non tali da potere emergere dal calderone.

“Tooth and Nail” è l’album del 1984, dunque il secondo e quello che permette al nome Dokken di circolare in maniera più ampia. Un disco di platino e oltre un milione di copie negli USA e tre totali nel mondo, con esso tre singoli di successo con a capo la ballad “Born Again” e tour di supporto a band di grido, come Aerosmith, Ronnie James Dio e così via.
I Dokken con “Tooth and Nail” esibiscono maggiore personalità e l’essere musicisti più ambiziosi di quello che poteva lasciare intendere il precedente album d’esordio. “Tooth and Nail” si apre con l’intro strumentale “Without Warning” e si avverte immediatamente, nonostante la brevità del pezzo, che Lynch da questo momento sale in cattedra. La successiva e anch’essa semplice e forse prevedibile nella forma, la title track, esibisce però un fraseggio della chitarra da provetto ‘guitar hero’. Produzione più piena nei suoni ma non per tutti i pezzi. Siamo ancora in un ambito molto anni ’80, con la chitarra che spesso è affilata, tagliente come in “Heartless Heart”, mentre ruggisce invece in brani come “Don’t Close Your Eyes”, “Turn On The Action” e la ballad “Alone Again” dalla parvenza Whitesnake.

Il terzo album “Under Lock And Key” del 1985 prosegue il successo del precedente. “Unchain The Night” apre l’album per oltre sei minuti e svela una band lanciata, dal riffing netto, energico e vivace di George Lynch e un Don Dokken d’assalto, ispirato e vocalmente pronto ad osare. “Under Lock And Key” è manchevole di filler, le canzoni sono di fatto tutte di una certa fattura. La stessa “In My Dreams” appare come dell’hard rock con dei codici vocali, di cori e alcuni cambi di passo che chissà avrà ispirato, in chiave futura, qualche band power metal. Due le ballad, “Slippin’ Away” e “Jaded Heart” con Don Dokken in modalità vocale e di interpretazione davvero lodevoli. “I’m Not Love”, “Don’t Lie To Me”, “Will The Sun Rise” sono le canzoni accattivanti tra le dieci che compongono l’album di una band che suona pezzi veloci e non, si avventura in ballad e in qualche composizione più ampia e misuratamente ambiziosa.

“Back for the Attack” è del 1987 e si piazza al numero 13 in USA nella classifica degli album, 4 milioni di copie vendute nel mondo e un singolo, “Dream Warriors”, che fece parte della colonna sonora per il film “Nightmare 3 – I Guerrieri del Sogno”. Il lato B del singolo era la title track dell’album che però non figurava nello stesso.
“Back for the Attack” vive di una produzione più matura rispetto a quanto fatto fino a quel momento e canzoni più complete, arricchite anche nei suoni. Lo stesso George Lynch veste la chitarra con una distorsione nuova. C’è poi il basso che emerge in canzoni che mostrano un arrangiamento più articolato che solo a tratti si era visto in “Under Lock And Key”. Era il 1987, uscivano album come “Appetite For Destruction”, “Hysteria”, “Whitesnake”, “Girls Girls Girls” e fermiamoci qui! Se i Dokken risultano indietro, quanto meno perché esibiscono ancora sonorità indebitate con quelle tipiche degli anni ‘80 rispetto ai geniali Def Leppard o i travolgenti Guns N’ Roses, la loro maturità è compiuta. Si pensi a pezzi come “Mr. Scary” e “Kiss Of Death”, oppure “Burning Like A Flame”, anche singolo, e “Cry Of The Gypsy” che per quanto canoniche canzoni hard rock risultano complete e affatto scarne e semplici ché in passato.

Momento topico per la carriera dei Dokken, con una notorietà crescente anche in Giappone, tour su tour ma anche l’inizio della fine, segnata dai contrasti tra la voce e la chitarra, tra Don Dokken e George Lynch che porteranno la band che in totale ha venduto dieci milioni di copie, a sciogliersi nel 1989.
La band si riforma, si scioglie di nuovo, si riforma. La storia dei Dokken diventa singhiozzante, tra nuovi partecipanti, voci su improbabili reunion, oppure annunci su di essa per poi essere smentiti. Per poi, ancora, riunirsi ma solo per dei concerti in Giappone nel 2016 con la storica formazione: Jeff Pilson, basso, Mick Brown, batteria, George Lynch e dunque Don Dokken.
L’ultima certezza è l’operazione alla colonna vertebrale per il cantante ora sessantanovenne che nel 2020 lo ha visto prima paralizzato con mani e in parte le gambe e poi attraverso un percorso riabilitativo, solo parzialmente alla mano destra e braccio tuttavia più o meno in miglioramento. Nel 2010 poi Don Dokken venne operato alle corde vocali. Per quanto provato dai problemi di salute, Don Dokken con la band, oggi completata dal bassista Chris McCarvill, Jon Levin alla chitarra e il batterista BJ Zampa, è ancora in attività. I Dokken suonano dal vivo e l’anno prossimo pubblicheranno un album con Silver Lining Music. L’ultimo album è stato “Broken Bones” del 2012. In qualche occasione George Lynch ha raggiunto nel 2022 gli attuali Dokken sul palco.

(Alberto Vitale)