Wall Of Sound è un sito australiano che poco più di dieci giorni fa ha intervistato Roddy Bottum, il tastierista dei Faith No More. Roddy è nato a Los Angeles nel 1963 e all’età di 18 anni si trasferisce a San Francisco, entrando poi a far parte dell’allora nucleo iniziale dei Faith No More.
Roddy Bottum è noto non solo per la musica ma anche per essere stato uno dei primi nell’ambito del metal a dichiarare la propria omosessualità nel 1993, «Non avrei mai pensato che da adolescente gay sarei stato in una band considerata heavy metal o hard rock». In quel decennio l’argomento sulla propria sessualità era ancora un tabù, sebbene è proprio in quegli anni che si assiste ai primi tentativi di qualche rockstar e musicisti vari, nel tentare di sdoganare l’argomento per nulla semplice.
L’intervista del Wall Of Sound realizzata da Paul ‘Browny’ Brown, uno dei fondatori del sito, viene introdotta con una propria disamina semplice e veritiera del clima nel decennio in questione, attorno all’argomento dell’omosessualità e delle conseguenze per chi viveva quest’identità, prendendo appunto come esempio un musicista di una rock band.
«Che ci piaccia ammetterlo o no, crescere gay non è così semplice o dignitoso come per le nostre controparti eterosessuali.
L’angoscia mentale che affligge gli uomini gay deriva da battaglie interiori che durano una vita con la propria identità, la stigmatizzazione e l’accettazione in un mondo in cui la società ci fa costantemente dubitare se sia sicuro essere se stessi o se sia “appropriato” essere se stessi in pubblico.
Per dirla francamente, siamo costantemente in ansia. Un modo per accettare la propria sessualità è guardare con ammirazione a eroi o identità che hanno attraversato la vita con sicurezza e un’assertività che dimostrano che non è necessario nascondersi dietro un velo di eteronormalità e che si può prosperare in questo mondo così come si è nati.
Ma cosa succede quando si cresce sotto i riflettori, come parte di una rock band degli anni ’90 iconica e riconosciuta a livello mondiale, senza quel mentore o quell’eroe a cui ispirarsi? Questa è la realtà di isolamento in cui si è trovato Roddy Bottum quando colleghi musicisti come Elton John e Freddie Mercury si muovevano in punta di piedi sulla loro sessualità, mentre l’alt-rocker si stava facendo strada con l’ascesa dei Faith No More.
Questa storia, insieme ad altre della sua vita personale, sarà finalmente svelata al mondo con l’uscita del suo prossimo libro di memorie, “The Royal We”, in uscita il 4 novembre.
Sono stato felice di sedermi per una chiacchierata personale con l’icona queer per discutere del suo turbolento percorso, delle difficoltà di sopravvivere alla dipendenza dall’eroina nell’industria musicale e della pesante idea di divulgare questi aneddoti per la prima volta, che persino lui ha trovato inizialmente sgradevole.»
Roddy Bottum tira le conclusioni ricordando la sua dichiarazione e come ci arrivato, allora poi si tenga presente lui fosse molto giovane, e cosa ne ha ricevuto. L’intervista però esce in occasione della pubblicazione per Akashic Books di “The Royal We”, la sua autobiografia.
Ecco alcuni estratti dell’articolo che per intero è reperibile QUI.
«È stato un periodo difficile. Ripensandoci e a cosa significasse quell’atteggiamento, è un po’ difficile immaginare che la gente fosse così fobica a quei tempi nei confronti degli omosessuali, ma il mondo era davvero così. E gran parte del libro parla di questo, del giudizio della grande cultura sugli omosessuali e della loro reazione, e di come possiamo affrontarlo? E in particolare la mia generazione, sì, come hai detto, non c’erano molti modelli di riferimento per me, ed è stato un periodo difficile da bambino non averne.»
«Parlando da dove venivo io, non c’era altra scelta che essere riservati e nascondere le cose, perché, sì, come dicevi tu, e l’ho detto spesso nel mio libro, non c’erano molti modelli di riferimento. Non c’era nessuno a cui potessi guardare, soprattutto nel mondo della musica. Quando ho iniziato a fare coming out negli anni ’90, non c’era nessuno nel mio mondo che avesse una voce gay. L’unica persona che conoscevo, anche se siamo diventati molto intimi, ed è una delle mie migliori amiche [ora], era Patty Schemel delle Hole. A parte Patty, non conoscevo persone queer nel rock; semplicemente non c’era niente del genere nel mio mondo. Quando ero molto giovane, ricordo persino di essere un grande fan di Elton John, e ricordo di averlo ascoltato alla radio a un certo punto e di aver parlato di matrimonio e cose del genere. Era quella fase in cui nascondeva davvero la sua sessualità. E da bambino, da ragazzino, sapevo che era gay, ma poi vederlo nascondere la cosa o la prospettiva di pensare, tipo, ‘Oh, ecco un’icona a cui aggrapparmi’, mi è stata portata via.»
«Per me, da ragazzino, è stato uno schiaffo in faccia. Tutto ciò che volevo era una direzione e una persona che dicesse: “Sì, va bene. Puoi essere così”. Ma non c’era. Persino i Queen, di cui parlo anche nel mio libro – ricordo che i QUEEN non volevano dichiarare apertamente di essere gay. Ricordo che a un certo punto c’era un riferimento, ricordo di aver letto da qualche parte, che diceva: “La nostra band si chiama Queen e cantiamo fondamentalmente musica lirica. Quindi fate voi i conti”. Ok, dicevano di essere gay, ma non lo dicevano. Tutto ciò che veniva detto a riguardo era in un certo senso cauto, mascherato e in un certo senso alimentato in modo vergognoso. Era difficile accettarlo.»
«[VILLAGE PEOPLE] parlavano. Da bambino, oh, chiaramente, oh, ecco una rappresentazione gay, ma ricordo che dicevano: “Beh, non vogliamo davvero dire se siamo gay o eterosessuali perché non vogliamo perdere nessuno del nostro pubblico”. E cosa significa questo per un ragazzino? Significa, tipo, ok, di’ che sei gay e alla gente non piacerai. Era proprio questa l’affermazione.»
Sull’avvento dell’AIDS si esprime così: «E quello era sicuramente un quadro completo di umiliazione e vergogna, erano HIV e AIDS. A quel punto, ha rafforzato l’idea che essere gay sia un male. Non solo è un male, è tossico. Non è solo tossico, è velenoso, è mortale. E se sei gay, morirai.»
Interessante il suo punto di vista sulla band e la sua omosessualità: «Se avessi chiesto a me o a uno qualsiasi dei membri della band, tipo: ‘È un problema che Roddy sia gay?’, non era affatto un problema. Vivevamo a San Francisco. Tutti nella band erano così aperti, tutti incoraggianti, ma nella mia testa era qualcosa di diverso e non ero disposto ad andare fino in fondo. E la colpa è mia. Ne parlo molto nel libro. Billy [Gould, bassista dei Faith No More] ed io eravamo migliori amici fin da quando eravamo molto giovani, davvero giovanissimi. Billy è il bassista dei Faith No More. E, sì, il fatto che non sia riuscito a essere aperto con lui sulla mia sessualità, è ancora qualcosa che mi dà un po’ fastidio. Non è bello. Vorrei avrebbe avuto la forza di essere aperto. Voglio dire, era uno dei miei migliori amici. Quindi, all’interno della band, non era colpa loro, era colpa mia. Semplicemente non ero disposto ad andare lì con loro, data l’infanzia che ho avuto e la cultura in cui vivevamo. È stato davvero difficile. Ma sicuramente mi hanno supportato e comprensivo in quella situazione difficile.»
(Alberto Vitale)




