Anche quest’anno si torna a Francavilla al MaLe, il colpo sicuro per trascorrere il miglior Ferragosto possibile: tre giorni di musica estrema, amicizie autentiche e vibrazioni nuove da collezionare edizione dopo edizione… divertenti da ricordare e raccontare fino alla successiva.

L’appuntamento è fisso per me ormai dal primo anno. Persino stavolta la line-up non ha lasciato scampo, era impossibile perderselo…e poi, è vicino casa!

L’organizzazione ha fatto di tutto per creare uno scenario sempre più vivibile e curato, location permettendo, ispirandosi ai grandi festival europei. Stiamo parlando di un impianto sportivo di dimensioni contenute, ma le piccole migliorie apportate si sono assolutamente notate. Un ruolo fondamentale lo hanno giocato come sempre i volontari, instancabili e sempre pronti ad aiutare. Anno dopo anno il Frantic Fest riesce a portare in una zona spesso trascurata band che mai avremmo immaginato di vedere dal vivo. Ad incorniciare il tutto c’è l’“abruzzesità”: convivialità, ospitalità e quella leggerezza goliardica che si alterna ai momenti più intensi. Tra incontri ilari e siparietti trash con la gente arrivata da fuori (e quest’anno era davvero tanta), il festival ha dosato perfettamente serietà e divertimento per tutti e tre (quattro) i giorni, lasciando spazio a entrambe le anime che lo rendono unico. È proprio questo l’aspetto che mi è sempre piaciuto di più, che me ne fa parlare fino allo sfinimento, che mi attira e attirerà verso la rimpatriata annuale. Nonostante il caldo asfissiante e insopportabile di metà agosto, che, quando sono lì, quasi non sento.

Perché ho scritto “quattro” giorni? Perché il delirio è iniziato già dal giorno zero, quello dell’accoglienza e della serata di apertura. Io e la mia dolce metà siamo arrivati a set di Giancane appena finito, ma ne abbiamo approfittato per salutare i soliti amici e far scorta di merchandising prima che sparissero le taglie migliori; scelta azzeccatissima, poiché a festival “non ancora iniziato” diversi scatoloni erano belli che svuotati. E poi via con la festa del mercoledì: metallari che ballavano la neomelodica, gente già abbondantemente sbronza e siparietti da piegarsi in due. Risate a non finire, insomma: apertura perfetta e promettente.

Giorno 1 – Giovedì 14 agosto – LE GRANDI SCOPERTE

I motori si sono scaldati con band che hanno messo in chiaro il livello della rassegna. L’allestimento stesso ha tolto ogni dubbio sulla libertà di divertirsi ed esprimersi al Frantic: parliamo di set oscuri sui due palchi, un angolo foto dedicato a Ozzy, addii storici, dettagli curiosi come il banchetto “Coachella dei metallari” e show che hanno spazzato via ogni esitazione.

Il pomeriggio è partito inaspettatamente in “leggerezza” con Die Sünde, Amalekim e gli spagnoli TodoMal: luci basse, atmosfere cupe, riff lenti e feroci che hanno preparato il terreno. Di solito i set pomeridiani rischiano di passare inosservati, stavolta però sia io, che molti fotografi, che il resto del pubblico siamo rimasti incollati sotto al palco piccolo coperto, senza perdere un colpo!

A metà pomeriggio, tra una birra fresca e una GazaCola, è arrivato il momento dei Necrodeath: quarant’anni di storia riassunti in un set ferocissimo, accolti come vere Leggende da un pubblico che ha pogato e applaudito fino all’ultimo. Un addio amaro ed emozionante, ma celebrato con il rispetto che solo i grandi meritano.

Fin qui, massima serietà…finché i Replicant non hanno cambiato le carte in tavola: tecnica schizofrenica, distorsioni particolarissime, la gente ha iniziato inaspettatamente a distrarsi tra cartoni di pizza e improvvisati balli balcanici. L’atmosfera scanzonata, di lì a poco, è esplosa con i tanto attesi Brujeria che hanno trasformato il tutto in un carnevale grindcore: pogo, urla, gonfiabili di ogni tipo e la “Macarena” (Marijuana) che ha scatenato un delirio collettivo tra i “cazzeggiatori” storici del festival. Diversamente dai Gutalax, qui la faccenda aveva comunque un peso più serio e credibile.

Dopo il delirio, è giunta la lama fredda di Ihsahn: un gelo elegante è sceso sul palco dopo un’afosissima giornata. Suoni cristallini, voce tagliente, un set che trasudava stile.

Appena appena il tempo di metabolizzare, sono arrivati direttamente dal Brutal Assault i Sigh: un incontro a dir poco CATARTICO. Maschere, luci psichedeliche, mix di generi, persino bambini polistrumentisti sul palco… sembrava di stare in un teatro dell’assurdo, con il pubblico rapito da uno show che alternava caos e melodia. Uno show UNICO!

Potevamo avere un attimo di tregua? Abbracciarci, limonare, confrontarci su quanto appena successo? No. Coi Zeal & Ardor il Main Stage si è trasformato in un rituale ancora più catartico: gospel e black metal fusi in un coro collettivo, col pubblico in trance. L’esibizione migliore, a mani basse, di tutte le edizioni del Frantic fino ad ora. Una band che fa arte pura e che non si coglie appieno se non dal vivo. Quando ormai eravamo in catalessi emotiva, ecco i Tenebro a riportarci sulla terra con il loro sound da film horror anni ’70, scenografia d’impatto e luci rosse ad incorniciarli.

A quel punto abbiamo deciso di defilarci: non per stanchezza, ma per trovare un posto silenzioso dove metabolizzare ciò che avevamo appena visto. Sigh e Zeal & Ardor ci avevano stregati, e andava commentato a caldo, lontano dal rumore.

Giorno 2 – 15 Agosto – FERRAGOSTO DI FERRO

Ferragosto, l’afa che ti brucia il cervello e rallenta gli ingranaggi… la giornata è partita inevitabilmente a metà pomeriggio. Con i Winterfylleth sono arrivate finalmente le atmosfere nordiche tanto attese dai fan: nebbiose, solenni, in netto contrasto con il sole che picchiava ancora forte. Abbiamo tentato di preparare i timpani per i riffoni del resto della giornata sul Main Stage, ma la “magia dei boschi” è stata presto spazzata via dal muro sonoro dei mitici Doomraiser: pesanti come una colata di cemento o una statua di ferro, da far vibrare letteralmente il terreno e farci pentire subito della frittura di calamari presa come spezza-fame. Scelta sbagliatissima. Subito dopo i Panzerfaust hanno portato rabbia pura sul palco, potenti come macchine agricole, mentre gli Insanity Alert hanno scatenato il picco di delirio della giornata: wall of death, circle pit e risate a non finire. Il loro crossover è stato un inno al caos. Assistervi è stato irresistibilmente divertente.

Come ho scritto su Facebook, “Rosso di sera, Orange Goblin!”. Sono entrati come un bulldozer: groove, riff stoner ipnotici… quasi medicinali per la mente. La consapevolezza di trovarsi davanti a un pezzo di storia che saluta i palchi italiani è stata una gran bella sensazione intensa. Davanti a loro, il pubblico in visibilio ha regalato l’immagine più iconica del festival quest’anno: nessuno col telefono in mano, tutti erano immersi nello spettacolo.

A fine serata i Leprous hanno decisamente ribaltato tutto: Einar Solberg cantava, il pubblico rispondeva, io piangevo quasi strozzandomi per il falsetto perfetto e toccante… sembrava un unico grande coro collettivo, in totale antitesi col resto della giornata. Energia, tecnica e pelle d’oca in ogni brano: un privilegio che ci accorgeremo davvero di aver vissuto, in quel di Francavilla, solo col tempo. E in mezzo a tutto questo, ricordo qualche momento di leggerezza dal palco: rimarrà una giornata speciale e simpatica perché coincideva con i compleanni del chitarrista degli Orange Goblin e di Simon dei Leprous: ovviamente abbiamo cantato gli auguri in coro e sparato coi fucili ad acqua! Perché, ad ogni edizione, qualcuno se ne inventa sempre una per strappare qualche sorriso. Sappiatelo ed accettatelo!

La chiusura stata è affidata agli Hexvessel che hanno trasformato “la tenda” in un rituale folk-psichedelico: luci soffuse, atmosfere pagane, perfetto finale di giornata, perfetto modo di riprendersi dopo lo shock emotivo dell’esibizione precedente. Ma stavamo comunque “sfranti(c)”, retti da birre e risate regalate dagli outfit bizzarri e inaspettati di chi ha voluto osare in antitesi ai generi proposti.

Giorno 3 – 16 Agosto – PIPPO BAUDO VIVE, I MORTI SIAMO NOI

L’ultima giornata, nonostante la stanchezza accumulata e le cartucce “migliori” già sparate nei giorni precedenti, ha mantenuto un’aura speciale. È partita subito forte con Zolfo, Invernoir e Brutal Sphincter: dal doom più claustrofobico al grind più demenziale. Nomi già noti, ma è sempre un piacere ritrovarli sul palco, perfetti come colonna sonora di quelle doverose dosi di magnesio e potassio che ci tenevano ancora in piedi e per fare le coccole al gatto mascotte del festival, che si è distinto per la sua presenza costante nei giorni e per le nanne pesantissime in qualsiasi punto dell’area, a qualsiasi ora. I Bull Brigade in quegli istanti sono caduti a fagiuolo e sono stati MOLTO interessanti: hanno infiammato il palco col loro hardcore diretto, trascinando tutti in cori urlati e abbracci collettivi… un altro dei momenti più intensi e sentiti del festival. Hanno trasmesso energia e sentimento, quel tipo di concerto che ti rimette in vita anche quando sei già alla frutta.

Il cambio di atmosfera più sorprendente di tutta la rassegna c’è stato coi Saturnus che hanno steso tutti con un doom che tagliava come una lama. Malinconia, dolcezza amara, un peso emotivo che scavava dentro. Il loro set è stato senza dubbio tra i più apprezzati, insieme a quello dei Bull Brigade. Dopo tanta intensità, i Buzzcocks hanno regalato un tuffo nel punk classico che ha coinvolto chiunque, dai più giovani ai veterani, emanando anche un bel po’ di malinconia…Infatti iniziavano già a farsi sentire le prime mestizie dell’ultimo giorno: la tristezza di dover attendere chissà quanto prima di rivedere i nuovi amici con cui si sono condivise cene, birre, balli e chiacchiere fino a notte fonda, era tanta.

In tutto questo, la notizia improvvisa della morte di Pippo Baudo ci ha destabilizzati in maniera unanime. È rimbalzata tra la folla come un fulmine. Proprio sulla bacheca all’ingresso del festival è comparsa quella scritta che ci ha fatto sorridere amaramente e che ho voluto adottare come titolo di questo report: “Pippo Baudo vive, i morti siamo noi.” Alcuni dettagli riescono a fare davvero la differenza.

Tuttavia, i colpi di scena non sono continuati a mancare: il momento è stato spezzato dall’attesissima comparsa dei Carcass: Jeff Walker e compagni hanno letteralmente trasformato il Tikitaka Village in un campo di battaglia con suoni devastanti. Un trionfo per me e tanti altri ex adolescenti che non avevano ancora avuto il piacere di sentirli dal vivo…Pogo, urla, braccia al cielo: il pubblico era in pieno delirio. Non ci sono dubbi su chi siano stati i veri dominatori di questa edizione. Non era un semplice concerto, era una dichiarazione di supremazia! Dopo un tale massacro, siamo stati deliziati dai suggestivi The Foreshadowing: la colonna sonora perfetta per l’ultimo brindisi, per gli ultimi abbracci con chi doveva necessariamente mettersi in viaggio.

Ma il Frantic non poteva chiudersi solo con quella malinconia. A sciogliere la tensione ci ha pensato il Vescovo DJset, che ci ha messi tutti in pista. EBM, techno esplosiva, cover improbabili di pezzi pop: la stanchezza si è trasformata in puro caos ed energia, tra le ultimissime birre, momenti di leggerezza ed effusioni improvvisate. Un ultimo delirio collettivo che ci ha consumati ma anche rigenerati, prima del buio vero e proprio.

Conclusioni

I quattro giorni sono stati vissuti a mille, senza cali di ritmo, con una line-up che ha saputo bilanciare leggende e nuove scoperte, ma soprattutto con quel clima che altri festival difficilmente riescono a ricreare. Il Frantic Fest è amicizia, passione e comunità. È quel luogo dove torni ogni anno e ti senti a casa, dove la libertà è tangibile perché la vedi riflessa negli altri. Tre giorni senza reggiseno, chiacchiere con perfetti sconosciuti che diventano subito amici, artisti che passeggiano serenamente tra la folla senza filtri né barriere. Un festival “comodo”, dall’area raccolta e ben organizzata, con prezzi onesti e proposte sempre curate. Un ambiente dove regnano l’educazione, la simpatia e la voglia di condividere, senza mai perdere il focus sulla musica. E crescerà, me lo sento.

Il Frantic è diventato un appuntamento che va oltre la musica estrema: è un senso di appartenenza, un posto in cui collezionare abbracci, sorrisi e ricordi che ti accompagneranno fino all’anno successivo.
Un festival che in fin dei conti non ha bisogno di paragoni né di etichette: è, e resta, casa. Spero di essere riuscita a trovare le parole giuste per raccontare la mia avventura e trasmettere almeno una parte delle emozioni che colleziono da quelle giornate. Ci vediamo l’anno prossimo!

(Aleksandra Katarina Klepic)