Ci ho messo diversi giorni prima di mettermi davvero a scrivere il mio racconto. Non per pigrizia, né per mancanza di voglia, al contrario… l’emozione era troppa. Troppo viva, troppo presente, troppo ingombrante, troppo difficile da filtrare. Era anche la mia prima volta all’Hellfest, un evento che sognavo da più di un decennio.

Durante il festival ho preso appunti, registrato impressioni, scattato foto, registrato clip, dai piccoli dettagli alle esibizioni intere, parlato con decine di persone e artisti, ma ogni volta che provavo a riordinare pensieri e ricordi, tutto mi sembrava surreale, come se fossi ancora lì, in quel microcosmo infuocato chiamato Clisson. Solo ora, a mente decisamente più fredda, riesco a guardare quei giorni con la giusta lucidità. E anche così, resta qualcosa di enorme, viscerale, devastante. Un’esperienza che ti scava dentro e ti cambia, e che provo a raccontare qui, giorno per giorno.

Giorno 0. 18 giugno 2025. Aspettando l’inferno

L’Hellfest non inizia davvero il primo giorno di concerti. Per noi della “presse”, tra fotografi, redattori e appassionati, tutto comincia almeno ventiquattro ore prima. L’arrivo all’Aeroporto Atlantico di Nantes ha già il sapore dell’evento: striscioni, decorazioni, personale con magliette ufficiali del festival, metallari stereotipici ovunque… tutto è tematizzato. Un piccolo stand, già soprannominato “il chioschetto di benvenuto con le birre”, serve le prime pinte ghiacciate in un torridissimo mercoledì pomeriggio a chi ha voglia di cominciare presto. E noi ovviamente c’eravamo, con un sorriso a trentadue denti, entusiasti dell’accoglienza francese.

Gente da tutta Europa affolla le navette dirette a Clisson, in un crescendo di adrenalina collettiva. Una volta giunti all’area campeggio, il gruppo italiano si ricompone come da tradizione: ci si aiuta a montare tende, gazebo, gonfiare materassini, sistemare l’attrezzatura e recuperare i pass, con il supporto, va detto, di uno staff francese sempre cordiale e disponibile.

Qualcuno tira fuori la prima bottiglia di Jack Daniel’s (rigorosamente portato da casa), altri cominciano subito a scambiarsi contatti: tra un aiuto con la lingua e un favore logistico, la rete si crea da sola. L’atmosfera è già cameratesca e conviviale, come una vecchia reunion tra amici di una vita, eppure ci eravamo conosciuti da poche ore.

La sera ci spostiamo tutti insieme verso le prime vie del paese, a due passi dall’ingresso del festival. Clisson ci accoglie con un’atmosfera da sagra metal: tavolate di legno, birre artigianali, cibo locale, famiglie intere a gestire i chioschi (bambini compresi), con una selezione musicale inaspettata, dedicata alle hit italiane degli anni ’80, da Al Bano e Romina ai Ricchi e poveri. Tra una risata, un brindisi e i primi aneddoti da raccontare, il gruppo italiano, come da copione, inizia a farsi notare. Cantiamo, ridiamo, facciamo casino. Il festival non è ancora iniziato, ma noi eravamo carichi a mille.

(continua…)

(Aleksandra K. Klepic)