I concerti stavolta iniziano già dalle prime ore del mattino, e a Clisson il risveglio è scandito da riff, blast beat potentissimi e voci growl che arrivano dai palchi come una sveglia brutale. Il caldo è già feroce, a tratti sembrava davvero di stare all’inferno, e non è un caso se il festival si chiama proprio Hellfest, lo ha ribadito anche qualche artista.
Noi, che eravamo lì già da un paio di giorni, in realtà non ci sentivamo ancora del tutto “riscaldati”. Così, prima che iniziasse il delirio quotidiano, ne abbiamo approfittato per prenderci un momento all’ombra, riprendere fiato e pianificare la giornata. Un’occhiata al programma delle conferenze stampa, due parole con i colleghi della stampa estera e qualche risata condivisa su aneddoti del giorno prima. È quel tipo di rituale che unisce e crea quella complicità tra addetti ai lavori che vivono il festival come una maratona, sì, ma anche come un gigantesco salotto.
Così, la maratona di fuoco parte con un trittico intensissimo sul Mainstage 1: Cachemire, Vowws, e la meravigliosa Charlotte Wessels, seguiti da altri headliner d’eccezione come i The Warning che conquistano completamente il pubblico (compresa la sottoscritta) con la loro grinta e la loro incredibile presenza scenica.
Negli stessi istanti, tuttavia, per noi della stampa si apriva anche un altro fronte: le conferenze. All’interno del tendone press dell’area VIP, trasformato in una sala rovente e semibuia, si susseguono i primi incontri ufficiali. Grande attenzione e applausi sinceri per Sharon den Adel dei Within Temptation, accolta come una regina del metal ma con tutta l’umiltà di chi è lì per pura passione: gentile, disponibile, sorridente. Niente atteggiamenti da diva, solo entusiasmo autentico. Subito dopo, i Royal Republic: gli svedesi fanno letteralmente impazzire i presenti con il loro umorismo. Il tempo vola tra battute e aneddoti. Salta invece, purtroppo, l’attesissima conferenza degli Epica, generando un po’ di delusione tra i fan presenti.
Nel pomeriggio, mentre i palchi alternano bordate di suono e momenti più melodici, le aree ombreggiate del bosco tra un’area palchi e l’altra diventano un rifugio perfetto. Gente di ogni tipo, chi col gelato, chi con una pinta in mano, chi semplicemente sdraiato a fissare il cielo, si gode un attimo di tregua. L’atmosfera è distesa, quasi magica: si respira rispetto, piacere e gratitudine per il solo fatto di esserci. Uno di quei momenti sospesi che fanno dell’Hellfest un’esperienza che va ben oltre la musica. E sinceramente sono le sensazioni che ricordo anche in maniera più nitida.
Erroneamente, ai festival pensiamo che i palchi secondari/minori siano un ripiego, invece sono lì che spesso si nascondono delle perle autentiche. Le band scelte per Valley, Altar, Temple e Warzone non sono semplici apri-pista, ma artisti con una visione sonora solida, performance curate e identità forti. Che sia doom, folk rituale, hardcore estremo o stoner psichedelico. Ogni palco diventa un universo parallelo del metal, risonante di esperienze intense e momenti imprevedibili.
Personalmente, più che alla scena death, thrash, core, o folk ho preferito lasciarmi trascinare in un viaggio onirico offerto da band come Dopethrone e Pentagram. Loro, la vera perla del pomeriggio, il momento che ci ha lasciati davvero senza parole (e con le lacrime agli occhi… dal ridere). Bobby Liebling è salito sul palco come un’entità venuta da un’altra dimensione: movimenti grotteschi, smorfie teatrali, occhi spiritati e gesti plateali che sembravano usciti da un horror psichedelico anni ’70. Sembrava posseduto da ogni demone mai evocato nei testi doom della band. Era impossibile distogliere lo sguardo: un mix tra uno sciamano e un personaggio post-apocalittico. Eppure, nonostante l’aspetto surreale dell’esibizione, la resa sonora è stata di alto livello. Un doom solido, pesante, con atmosfere sulfuree e vibrazioni che ti entravano nello sterno. Le chitarre dense come lava, la sezione ritmica inesorabile. Un concerto che, tra risate e pelle d’oca, rimarrà inciso nella memoria di chi era lì davanti come un piccolo capolavoro di follia e classe vintage.
Sul Mainstage 2, la giornata ha un’identità chiarissima: è il giorno delle regine del metal. Un crescendo di esibizioni guidate da voci femminili, che hanno portato sul palco non solo tecnica, ma anche intensità emotiva, forza scenica e una visione artistica potentissima.
Ad aprire il fronte c’è stata Amira Elfeky, poi le Future Palace con la voce di Maria Lessing, una vibrazione tra rabbia e fragilità con una naturalezza disarmante. Ho adorato le Kittie: dirette, aggressive e senza compromessi…il trionfo di un’attitudine punk e metal ancora pienamente attuale.
Nel tardo pomeriggio è stato il turno degli attesissimi Epica, maestosi oltremodo. Il pubblico sotto il loro palco, ha creato un momento di pura connessione: cori, luci e una scenografia che sembrava un’opera teatrale. La cantante Simone Simons è stata impeccabile: carismatica, elegante, travolgente. Non ha sbagliato una sola nota, guidando la band con una presenza vocale e scenica che ha lasciato tutti senza fiato. La sua voce ha attraversato il pubblico come un’onda. Ma anche il resto della band ha costruito uno show pieno di pathos, ma soprattutto, erano visibilmente divertiti. Molte ragazze nel pubblico erano commosse.
Infine, Within Temptation e Heilung. Sharon den Adel si conferma una frontwoman assoluta, magnetica.
I secondi, invece, portano sul palco un rituale sciamanico in piena regola, in cui la dimensione femminile si esprime in maniera ancestrale eipnotica. Maria Franz incanta come una sacerdotessa pagana, in un set che è più esperienza sensoriale che semplice concerto.
In questa giornata, le donne dell’Hellfest non sono state una parentesi decorativa ma delle vere e proprie protagoniste, con progetti artistici diversi ma ugualmente intensi, capaci di dare voce a tutte le sfumature della femminilità e del talento. Potenza, grazia, oscurità e luce: tutto ha trovato spazio e rispetto. Un messaggio importante, dentro e fuori dal palco.
Non dimentichiamo il debutto dei Muse all’Hellfest, una sorpresa inaspettata.
Il gruppo ha aperto con il nuovo singolo “Unravelling”, un brano dal sound oscuro tra djent ed EDM accompagnato da una chitarra a otto corde: un manifesto del loro nuovo corso più aggressivo, apprezzatissimo, inaspettato, meraviglioso…oserei dire “non da loro” che onestamente mi ha conquistata e fatto adorare tutta l’esibizione su quel filone, per quanto le hit non siano da meno. Hanno trasformato l’Hellfest in loro universo, giocando con le aspettative, mescolando riff iconici e omaggi a band come Gojira, Nirvana e Korn. In questa esibizione assolutamente atipica, hanno scelto il rischio e ne sono usciti vittoriosi.
Dopo oltre 12 ore, siamo tornati alle nostre tende.
(continua…)
(Aleksandra K. Klepic)
Foto: Kittie, The Cult, Epica, Pentagram, Heilung