La mattina di sabato procede tra sbadigli, adrenalina residua del giorno precedente e ricordi ancora freschi. Abbiamo scelto di sacrificare qualche esibizione mattutina e di iniziare a sognare coi nostri idoli a partire dal primo pomeriggio. D’altronde è giornata dei mostri sacri: headliner gli Scorpions, in ottima forma dopo decenni di carriera, insieme a Judas Priest, Savatage e Dream Theater. È sabato di puro metal carnale.

La giornata si apre in modo solenne sotto il sole con i Stoned Jesus che regalano un inizio ipnotico, con quello stoner ruvido che ti entra nelle ossa. In molti si sono lasciati cullare seduti sull’erba o accovacciati in silenzio sotto il palco, ancora storditi dal venerdì, ma già rapiti dall’atmosfera. A seguire, i Conan, che hanno trasformato la calma in un martello sonoro: bassi devastanti, batteria da terremoto, e un sound che sembrava scavare nel terreno stesso del festival.

Poco dopo, sotto un sole che spezzava le nuvole a picconate, è salito sul Mainstage un elegantissimo Myles Kennedy, impeccabile nella voce e nei modi e nella presenza. Chi era lì si è goduto ogni nota. Una parentesi più intima, prima che si tornasse nel regno delle vibrazioni cosmiche con i My Sleeping Karma, ancora al Valley, che hanno costruito un viaggio sonoro tra post-rock, psichedelia e spiritualità. Un momento sospeso, mistico.

Il pomeriggio inoltrato segna lo spartiacque con l’arrivo dei mostri sacri: prima i Savatage, accoltissimi, con un set potente, coinvolgente, dal sapore epico. Subito dopo, il tripudio: Scorpions e Judas Priest, padroni assoluti della scena, due nomi che non hanno bisogno di presentazioni. Hanno colpito dritto al cuore, con la loro eleganza e nostalgia Maestosi, determinati, teatrali: Rob Halford nella fattispecie, non perdona, e la folla lo sa.

Durante l’esibizione degli Scorpions, l’aria si è fatta densa di emozione. Migliaia di voci a squarciagola su “Still Loving You” e “Wind of Change”, accendini e torce alzate al cielo come fiaccole. La band tedesca, con la sua classe senza tempo, ha dominato il palco con professionalità ed entusiasmo. Il pubblico ha risposto con una devozione quasi religiosa. Poi è toccato ai Judas Priest, e lì è calato il martello.

Rob Halford è salito sul palco come un re in armatura, e ogni parola uscita dalla sua bocca è stata seguita da una marea umana perfettamente sincronizzata. “Painkiller”, “Breaking the Law”…non c’era una sola anima sotto al palco che non conoscesse ogni parola. Era un’esplosione continua di energia, con sorrisi sfiniti ma pieni. La platea era un’onda compatta di emozioni, che cantava a memoria, piangeva, rideva, pogava, si abbracciava. C’erano ragazzi giovanissimi sulle spalle dei genitori, coppie attempate con le magliette dei tour passati, gruppi di amici con la voce rotta e le ginocchia a pezzi ma il cuore gonfissimo. In quei momenti capisci che l’Hellfest non è solo un festival. E i grandi nomi della musica non deludono mai.

Parallelamente, tra gli amanti delle atmosfere più cupe e arzigogolate, si fanno strada due esibizioni notevoli: Have a Nice Life, con un set denso e introspettivo, e i Russian Circles, che hanno dato una lezione di precisione chirurgica nei loro tecnicismi. Nessuna voce: solo tre musicisti che creano un universo sonoro sublime. Meravigliosi. Io ovviamente commossa.

E poi, passando al palco Altar, un vero colpo al cuore. Nel tardo pomeriggio tocca ai The Ocean, e il loro frontman, nella sua ultima esibizione con la band, visibilmente commosso, ha ringraziato più volte il pubblico con la voce incrinata. Anche sotto il palco non mancavano occhi lucidi: è stato un momento condiviso di profonda connessione, raro e sincero.

A chiudere il cerchio, Leprous. Einar Solberg ha letteralmente stregato tutti sotto a quel tendone: la sua voce è un’arma elegante e letale, e l’intera band si è esibita con una compattezza e una grazia quasi sovrannaturali. Un finale raffinato per un terzo giorno di pura intensità.

È stata una giornata intensissima e stratificata, e quando a notte fonda mi sono avviata lentamente verso il campeggio, mi sono resa conto che il sabato all’Hellfest non è stato solo un altro giorno: è stato un frammento di storia personale e collettiva.

(continua…)

(Aleksandra K. Klepic)

Foto: Witch Club Satan, Myles Kennedy, The Ocean, Russian Circle, Dream Theater