Il terzo, godibile capitolo della saga di “Hellraiser” è encomiabile in particolar modo per le musiche e l’ambientazione. Si abbandonano le atmosfere claustrofobiche, per così dire intimiste del primo film (la vecchia casa di famiglia da ristrutturare) e la cupezza della struttura manicomiale, nella quale si svolge il secondo capitolo, per entrare nella nightlife della L.A. degli anni Novanta, forse più luminosa, ma altrettanto inquietante. Di certo, molto più fracassona. 

La maggior parte delle scene si svolgono infatti in un locale notturno in cui viene suonata dell’ottima musica dal vivo e non vi è niente di meglio per allietare i cenobiti (“angeli, per alcuni; demoni, per altri” sebbene l’opinione di questi ultimi sia assai più informata) dell’hard rock e dell’ heavy metal. La soundtrack di “Hellraiser 3” che nelle parti orchestrali c’è il lavoro del valente Randy Miller – udito in film come “Tremors”, “Spartacus” e tanti altri, ndr – è di un livello che può tranquillamente definirsi superlativo, al proposito. La title track, ad esempio, è opera sopraffina dei sempiterni Motörhead, scritta in collaborazione con l’Ozzy Osbourne dei bei tempi (vi è anche una sua versione e tra l’altro è stata la prima canzone che Mikkey Dee ha registrato per i Motörhead). Ancora i Motörhead sono l’unico gruppo a comparire in un’altra traccia della colonna sonora, la sulfurea non-album track “Hell on Earth”, nel senso che non compare nell’album “March ör Die” come “Hellraiser”. Nel film è possibile ammirare una performance degli Armored Saint, non presente nel CD della colonna sonora ufficiale, ed è una pecca, ma è l’unica: tutte le canzoni sono assolutamente straordinarie, dalla cover del classico “Elected” cantata da un Bruce Dickinson in stato di grazia (o dannazione, ancora dipende dai punti di vista) ai Triumph di “Troublemaker” passando per i meno noti Chainsaw Kittens (l’urgenza del groove di “Walzing with a Jaguar” è irresistibile). Lo stesso dicasi per un paio di tracce non di genere, che pur se danzerecce sono d’ottima fattura, come “Baby Universal” by Tin Machine, la creatura di Bowie, e pure piuttosto cupe, tipo KMDF con “Oh la la”.

Una menzione particolare per il gruppo funky metal degli Electric Love Hogs, purtroppo una meteora nel panorama musicale dell’epoca, poiché la loro “I Feel Like Steve” nella modesta opinione di chi scrive, è un capolavoro misconosciuto, seppure degno di questo nome. 

Al posto del recente, e assai mediocre, remake di “Hellraiser” non si può dunque far altro che consigliare vivamente la visione, e soprattutto l’ascolto, di questo terzo capitolo di una gloriosa saga. Buon inferno in terra a tutti.

(Primo Bichi)