Dopo anni di concerti al Circolo Colony di Brescia, assisto al (mio) ultimo concerto prima della chiusura definitiva del locale, prima del nuovo progetto, prima del nuovo viaggio.

Simbolicamente è la serata dei Marduk, che per ragioni molto personali rappresenta la chiusura di un cerchio, la sintesi di una fine che è anche un inizio, un nuovo inizio.

Con i Marduk, per questo sermone blasfemo, due band impattanti: Ragnarok e Infernal War.

La serata offre un ottimo black. Un Black proveniente da tre paesi che sono ormai diventati di riferimento nell’ambito del genere estremo: Polonia, Norvegia e Svezia. Un asse trans-europeo malvagio, il quale propone sul famoso palco dal soffitto basso una tortura sonora efferata, spietata, brutale e letale.

Gli Infernal War non fanno prigionieri. Il loro set offre vari brani dall’ultimo “Axiom”, album ormai vecchio di 3 anni… un tempo evidentemente impegnato per suonare dal vivo, considerato l’efficenza sul palco… anche se -da quest’anno- con un vocalist sostitutivo per quanto riguarda l’attività dal vivo. La loro performance è estrema e spinge dritto dentro l’atmosfera adatta a tutto il male che verrà con i due successivi show.

I Ragnarok coinvolgono. I norvegesi pescano dal loro repertorio che ormai spazia attraverso oltre due decenni. Il pubblico partecipa, si esalta e la band, senza ridurre l’impatto e la violenza, risponde, comunica, stringe mani e genera quel fantastico feeling secondo il quale pubblico e artisti sono una cosa unica, ciascuno un tassello di un grandissimo e tetro puzzle emozionale, un puzzle dall’alchimia irresistibile.

I Marduk, all’epoca del concerto, stavano anticipando qualcosa dell’ultimo “Viktoria” (recensione qui) uscito proprio oggi. Con ormai un repertorio storico che può essere elevato allo status di mito, non risparmiano nessuno e spaziano da “Panzer Division Marduk” a “Werwolf”, da “Between The Wolf-Packs” a “Equestrian Bloodlust”, chiudendo un concerto glorioso con la fantastica “Serpent Sermon”. Alla luce degli ascolti dell’ultimo disco, meno impattante dei precedenti, noto che la band è e rimane ancora una dannata live band: non importa cosa esce dallo studio… sul palco questi quattro esseri putrefatti sono e rimangono una garanzia di totale violenza sonora, di spettacolo oscuro nel nome dei più nefasti demoni.

Anni addietro assistetti ad un concerto dei Marduk, in un piccolo open air dal bill discutibile. Era il tour di “Rom 5:12”, album che io amo particolarmente. Per presentare l’ultimo brano della serata, il vocalist -ricordo ancora- disse: “one last blasphemy to close the circle”, mimando un cerchio rituale con la mano mentre scandiva la minaccia.

Esatto.

Un’altra ultima blasfemia per chiudere il cerchio, quel cerchio -o quella cerchia- rappresentata dal Colony, un locale che rimarrà nella memoria, rimarrà nella storia, un locale che ha offerto il palco a centinaia di bands, da ogni parte del mondo, bands di tutti i livelli, bands appartenenti ad una infinita varietà di metallo, dal più brillante al più oscuro e putrido.

Personalmente devo dire grazie ai Marduk, per aver chiuso questo cerchio simbolico.

E grazie al Colony per la fantastica avventura, qualcuno di quello staff sa di cosa parlo.

Potrei scrivere un libro raccontando cosa ho visto o udito, incontrato e conosciuto, dentro quel locale. Non so se avrebbe senso: credo che i libri di questo genere abbiano senso solo per raccontare una storia, partendo dall’inizio, arrivando alla fine. Ma in questo specifico caso, non si può parlare di fine; al limite è finito solo il primo capitolo, ora sta per iniziare il secondo. La storia continua…

(Luca Zakk)