fototestamentSerata particolare quella che vede coinvolti i Testament, band leggendaria del thrash metal. Il contesto in cui si sono esibiti è la festa di Radio Onda D’Urto, una sorta di fiera all’insegna della musica, con svariate bancarelle, punti ristoro ed esibizioni live delle più svariate estrazioni. Bastava spostarsi di qualche metro e si passava dal metal sul palco principale alla musica afro, con tanto di suonatori di bongo e danze africane. Chiaramente, visti gli ospiti d’eccezione, gran parte del pubblico era li per vedere la band del gigantesco Chuck Billy, tanto che già ben prima dell’inizio del concerto, la folla era già assiepata sotto il palco. L’arduo compito di aprire le danze spetta ai Bolognesi Lehmann; la loro prestazione è stata buona a livello tecnico e la tenuta del palco era ottima, nonostante l’emozione tradita. Tuttavia i pezzi non mi hanno convinto più di tanto. Per carità, le doti dei musicisti sono buone, tuttavia le composizioni erano, a mio avviso fiacche e prive di mordente. Le cose migliorano con i Bresciani Tragodia, che propongono un metal prog dove parti aggressive e melodiche sono ben bilanciate e i pezzi, pur non facendo gridare al miracolo sono convincenti. Finita la loro esibizione, ne approfitto per avvicinarmi al palco prima che si assiepasse troppa gente. Ciò mi ha permesso di godermi parte del concerto dei Testament proprio da sotto il palco, attaccato alle transenne. L’attesa saliva, l’entusiasmo era alle stelle, tanto che persino un roadie, durante il soundcheck ha avuto il suo momento di gloria, quando ha improvvisato alcuni riffs dei Black Sabbath e di Ozzy Osbourne. Finalmente il concerto comincia, con il bestiale Gene Hoglan che si siede dietro le pelli, seguito da Chuck Billy che arringa la folla urlando “Itallllia, it’s time to rise up”, introducendo così il pezzo che apre l’ultimo album “Dark Roots Of The Earth”. L’imponente pellerossa è in forma smagliante, dialoga molto col pubblico e sorride, facendo air guitar con l’asta del microfono. La sezione ritmica è completata dal mostruoso Steve Di Giorgio che sostituisce il dimissionario Greg Christian, mentre Eric Peterson macina riffs letali, solide basi per gli assoli di Alex Skolnick, uno dei miei chitarristi preferiti in ambito thrash insieme a Marty Friedman. Oltre a “Rise Up”, la band propone altri tre pezzi tratti dall’ultimo album: “Native Blood”, brano in cui i blast beats di Gene Hoglan spadroneggiano, la title track e la devastante “True American Hate”, mentre grande spazio viene dato a “The New Order” che viene letteralmente saccheggiato: “The Preacher”, “The New Order”, “Into The Pit” e “Disciples Of The Watch” mandano il pubblico in visibilio e il pogo è devastante, mentre la security ha il suo da fare a intercettare le persone che arrivano continuamente in un crowd surfing selvaggio, sotto gli occhi di un divertito Chuck che più volte ringrazia, sorride e dice di amare l’Italia. Vengono omaggiate anche le canzoni di “The Gathering”, disco che sancisce la rinascita artistica dopo un periodo buio, e brani come “D. N. R.”, “Eyes Of Wrath”, “3 Days In Darkness” e “Riding The Snake” scatenano il putiferio, così come “Over The Wall”, “Practice What You Preach” e “Alone In The Dark”, preceduta da “More Than Meets The Eye”, a conclusione di un concerto quasi perfetto, con un’ottima resa sonora, anche se i volumi non erano eccessivamente alti. Mi aspettavo che facessero qualcosa anche da “Souls Of Black”, il mio album preferito (Forse perché li ho scoperti grazie a questo disco), anche se da molti criticato. Secondo me una “Love To Hate” o la splendida ballad “The Legacy” non sarebbero state male, come non capisco l’esclusione di “Legions Of The Dead”, che avrebbe creato un massacro sotto il palco. Nonostante questi piccoli particolari, è stata un’esibizione memorabile che ricorderò a lungo.

(Matteo Piotto)