Un quarto di secolo è in scena. Un quarto di secolo è davanti al palco. Venticinque anni dopo la pubblicazione di “The Crimson Idol”, Blackie Lawless e i suoi W.A.S.P. portano in tournée l’album eseguendolo per intero. Alla data francese assistono coloro che nel 1992 avevano a malapena diciotto, venti, trent’anni. Lo si legge sui loro volti, il ricordo del primo ascolto di un album tenuto poi nel cuore.
La devozione per Blackie è esibita da t-shirt, alcune stagionate, dei W.A.S.P., altri attraverso il sistematico cantare di ogni canzone dell’album. La devozione è l’essere qui oggi nel giorno prima della notte di Halloween, a prescindere da ogni cosa ti abbiano dato venticinque anni, perché quel lasso di tempo nel cuore non passa mai.

Purtroppo ho saltato quasi per intero l’esibizione dei supporter finlandesi Beast In Black. Peccato, perché il giorno stesso del concerto, dalla Nuclear Blast è arrivato in redazione l’album della band intitolato “Berserker”. Ho assistito solo alle ultime due canzoni, nelle quali i finlandesi hanno proposto il loro power metal catchy dal sound fresco, chiaro, netto, proprio come sull’album. Troppo simile all’album però, tanto che il concerto della sera precedente all’Elysée Montmartre di Parigi, un collega ha avanzato il dubbio, scrivendolo su una rivista metal francese, di un’esibizione in playback. Pare non sia stato il solo ad averlo. Ad ogni modo il 3 novembre la band dell’ex Battle Beast Anton Kabanen, ha annunciato l’abbandono del tour, perché non ha ricevuto il trattamento che le era stato garantito.

I W.A.S.P. con il tour “Re-Idolized: The 25th Anniversary of The Crimson Idol”, suonano l’intero concept-album, abbinandolo alla contemporanea proiezione di un film inedito e girato a Londra, suddiviso su tre schermi, due laterali di dimensioni più piccole rispetto a quello sul retro del palco di dimensioni superiori. Completa colonna sonora eseguita dalla band e le immagini, l’aggiunta di parti narrate tra i pezzi.
Jonthan Aaron Steel è un ragazzino vittima di un’infanzia desolante. Il padre lo detesta e lo sommerge di violenza, lo ritiene un figlio mal riuscito. Sua madre lo ignora. Suo fratello Michael è il prediletto dei genitori, ma è anche l’unico ad occuparsi realmente di lui. Michael sarà vittima di un incedente, un’ulteriore ferita per l’animo di Jonathan che crescerà con un istinto di ribellione alimentato da un disagio crescente. Un giorno ruba una chitarra e lo strumento svelerà un talento inaspettato nel ragazzo. Si accorge di lui un discografico che ne farà una rockstar. Un giorno Jonathan incontra una zingara che legge la sua mano e i tarocchi, riuscendo a ricostruire il passato del ragazzo, ma al contempo a scoprire il futuro che non riserva nulla di buono per colui che vuole essere ‘l’idolo cremisi per milioni di occhi’. All’apice della gloria Jonathan è spinto alla deriva verso droga e alcool che lo annientano, chiarendogli però che tutto quello che ha non è affatto quanto di cui ha veramente bisogno. Jonthan Aaron Steel non ha mai ricevuto l’affetto dei suoi genitori. La mancanza d’amore è quanto veramente lo svuota e gli rende impossibile una pacificazione interiore. Un’improvvisa telefonata fatta a casa dei suoi genitori, alla quale risponderà la madre, lo metterà di fronte all’evidenza dei fatti: la donna dichiarerà che lei e suo marito non hanno alcun figlio. Jonathan si impiccherà con le corde dello strumento che gli ha dato la celebrità, ponendo fine alla sua esistenza.

Un concept album triste, denso di pathos e fatalità che attraversano ogni canzone e diventa crescente. Il protagonista non arriva a superare alcun trauma. Nessuna rinascita e resta dunque vittima di se stesso e della propria vita. Il racconto attraverso i filmati diventa più chiaro, nonostante i testi non siano di difficile comprensione. Ci sono fotogrammi e sequenze che si ripetono nell’arco del filmato, voluti da un montaggio che a tratti crea ripetitività. Probabilmente si poteva attingere ancora dal girato complessivo, ampliando così il filmato. Estremamente interessanti le sequenze in cui compare la zingara.
Lo spettacolo si svolge con luci basse e, manco a dirlo, con una dominanza sul rosso.
La statura artistica e il carisma di Blackie Lowless sono lì, sulla scena, anche i suoi sessantuno anni nei quali trova ancora una voce pronta a sostenere linee canore di tutto rispetto. L’intera band, completata dall’altra chitarra di Douglas Blair (fece parte del tour dell’album nel 1992), il basso di Mike Duda, la batteria di Aquiles Priester (ex Angra) è capace di un’esecuzione agguerrita, carica di energia, senza sbavature.
Quando scorrono i titoli di coda, le luci si spengono, la platea monta d’entusiasmo e reclama a gran voce «Blackie, Blackie …». I W.A.S.P. ritornano per un trittico finale che svuota l’anima al pubblico: le canzoni “L.O.V.E. Machine”, “Golgotha” e “I Wanna Be Somebody”, accompagnate dai video sugli schermi, insieme a un gioco di luci questa volta vivido e festoso, celebrano il culto senza tempo dei W.A.S.P..
“I Wanna Be Somebody” viene reclamata dai più già nell’attesa di rivedere Lawless e soci in scena; vedersela recapitare dalla band come saluto è l’apoteosi per i presenti. Blackie Lawless che lancia l’estenuante ritornello nella parte finale del pezzo ripreso in risposta e con entusiasmo dal pubblico, segna un eccitante saluto verso l’autore di uno degli album più belli della storia del metal e non solo.

(Alberto Vitale)