Inizio dalla fine, quando Steve “Lips” Kudlow mi spara l’assolo di “Born to Be Wild” a venti centimetri dalla faccia. Sono sul bordo del palco e quella canzone dei Steppenwolf è l’ultima in scaletta del concerto. Poco dopo i tre Anvil salutano tutti, non senza una foto di gruppo. Che concerto!

Viaggiando tra Parigi e la Spagna, gli Anvil si fermano a Colmar, la città francese è in posizione strategica perché accanto alla Germania e sulla rotta stradale tra Benelux e appunto Germania e Svizzera. Le Grillen è un luogo che inizia a farsi strada nel panorama concertistico, presentando un cartellone con band sempre interessanti e di richiamo. La sala gremita ne è la prova.

A supporto degli Anvil i Trance. Ammetto di non conoscere la band, ma nei giorni precedenti al concerto, durante la full immersion ‘spirituale’ di preparazione all’evento, apprendo che la formazione teutonica nasce verso il finire degli anni ’70, ma è a partire dagli anni ’80 che mette a segno otto album. Dunque i Trance non sono gli ultimi arrivati e il palco permette di capirlo immediatamente.
Alla voce Nick Hollemann, un ragazzino se confrontato all’età degli altri quattro ma dallo spessore artistico affatto trascurabile. Nick sarebbe un buon erede della tradizione canora power ed heavy tedesca, mostrandosi però come una sorta di Robert Plant quando alza la tonalità nella canzone “Losers” e nelle pieghe hard rock dei pezzi.
Sezione ritmica d’altri tempi: Jürgen Baum pesta con solidità, le bacchette mettono i ritmi in quadro con energia e tenacia impeccabile, mentre Thomas Klein col basso a tratti suona come un chitarrista, altre volte con un feeling perfetto per questo umorale heavy metal con connotati hard rock. La coppia delle sei corde è Markus Berger e Eddie St. James e si guadagna la stima dei presenti.
Alla fine del set i Trance non possono fare un metro in sala senza che qualcuno non chieda autografi e strette di mano. Klein e Berger sono nella band dalle sue origini, mentre mi è parso di capire che Baum e Hollemann siano stati reclutati appositamente per il tour, tuttavia il batterista non è un elemento nuovo nella band. I Trance sono un supporto eccezionale e la sensazione di vedere persone semplici ma autentiche è molto forte.

Gli Anvil sono tra noi! “March of the Crabs” inaugura la prestazione del trio dell’Ontario. Mi trovo di fronte alla postazione di Kudlow che imbracciando la chitarra, scende dal palco e va a piazzarsi al centro della sala, sfoderando un assolo e un gioco di dissonanze galvanizzante.
Il trio per il set sceglie in misura maggiore pezzi dal recente “Pounding the Pavement”, il precedente “Anvil Is Anvil”, anche se il classico “Metal On Metal” del 1982 è il più rappresentato in scaletta con ben quattro pezzi.
Le canzoni dal vivo coinvolgono, la band le rispetta eseguendoli in modo pulito ma con energia crescente. Sono gli stessi Steve, Chris e Robb a dare l’idea di carburare esponenzialmente durante lo spettacolo. Kudlow si divide tra chitarra e microfono con un’energia e voglia impareggiabili. 62 anni e si mette in tasca molti ventenni. Fantastico quando si agita in una assolo funambolico in “Mothra”, armato di un vibratore! Una sorta di rivisitazione di Jimmy Page e del suo archetto. ‘Lips’ Kudlow prima lo usa alla sua maniera, poi lo mette in funzione e il risultato è devastante. Siparietto simpatico, emula persino Ritchie Blackmore alla maniera di “Made in Japan”, con resa sonora travolgente.
L’assolo, anche se breve, c’è anche per Robertson. Chris è sempre lì a fare smorfie, indossando una mimica che traspare divertimento. Kudlow è un burlone certo, ma musicista di lungo corso, quanto Robertson che appare come un onesto, bravo e preciso musicista. Una spalla forte. Un duo che si completa.
Robb Reiner è un’icona. Quando è il momento del suo assolo, le luci si abbassano, l’attenzione è tutta per lui. Rob è un batterista notevole, lo stesso Kudlow introduce il momento sottolineando quanto sarà bravo a passare da rullate potenti a evoluzioni fusion. Niente di pacchiano, niente giochetti, tanta sostanza presentata con tecnica. Robb Reiner tutta questa maestria la mette in ogni singola canzone che esegue.
“Free as the Wind” è dedicata a Lemmy Kilmister. Prima di introdurla Kudlow racconta un episodio di quando erano in tour insieme. Lemmy era seduto con due bottiglie di whisky e gin, credo, sapete lui parla veloce rispetto al mio inglese! Lemmy lo invita, gli porge un bicchierino colmo, il quale ingolla e con piacere. Poi un gesto per dire ‘grazie, basta così’ e l’altro che gli risponde inflessibile ‘cosa? adesso continuiamo per le prossime fottute 24 ore!’. Insomma, in tour bisogna pure ammazzare il tempo.
Sono passati più di due anni dalla scomparsa di Lemmy e ancora oggi ci sono suoi colleghi che gli dedicano costantemente canzoni e ne parlano con ammirazione. Questo fa pensare, ma non stupisce.
È singolare come ogni volta che Steve Kudlow sia al microfono, in sala scenda il silenzio. Carisma, ma anche la certezza che ti strapperà un sorriso vero ogni volta che apre bocca.
Sedici pezzi, più due bis, compresa la succitata cover dei Steppenwolf. Metallari, gli Anvil suonano per davvero e sanno stare sulla scena. Non sono gli ultimi arrivati, da sempre sfornano canzoni di qualità e ancora oggi restano dei fuoriclasse. Il concerto termina con un ‘tum’, schioccato dal muro di amplificatori quando Steve ‘Lips’ Kudlow spegne l’interruttore generale, mentre gli passa da dietro per avviarsi verso l’uscita. Il gesto sull’interruttore segna davvero la fine. Si accendono le luci, ci si attarda un po’ in sala, fuori ci sono -10°. Ora il tour bus viaggerà verso sud, io andrò verso nord.

Questo report è stato possibile grazie a due persone: thanks a lot Mr. Frank Suepfle and Mr. Björn von Oettingen.

(Alberto Vitale)

Foto: A.Vitale

Foto: A.Vitale