(Toten Schwan, Upupa Produzioni e altri) La complessità di una composizione mista a una totale forma di libertà. Due cose che potrebbero apparire in contrasto tra loro, perché la prima prevede dei binari prefissati, degli schemi e regole alle quali sottostare, mentre la libertà esula da ogni vincolo. Mettendo insieme un sano modo di suonare che rientra nei canoni del math rock, i Nadsat della zona di Bologna arrancano in ogni direzione con un’andatura di tipo jazz e suoni si ruvidi, ma chiari e potenti. Libertà di improvvisare e attraverso ritmi ossessivi che si amplificano oppure si scompongono e lo stesso vanno a fare le maglie del riffing. Michele Malaguti (chitarra, dronething, RTG) e Alberto Balboni (batteria, gong), non seguono lo schema-canzone e del resto l’album è del tutto strumentale. I due non si avventurano in suite contemplative e non indulgono in temi portanti da sviluppare, smontare e poi riprendere. Malaguti e Balboni si lanciano con veemenza verso una direzione e se fissano un punto di arrivo, ci piombano su con sincopata frenesia, con lenta armonia, con lucida cattiveria e con insana follia. Per quanto possano apparire logici nel loro schematizzare le proprie composizioni, i Nadasat sono evidentemente fuori da ogni tipo di schema e rinunciano alla prevedibilità. “Umhlaba” è una composizione posta a metà album che si avvale di un aspetto noise, sperimentale ed elettronico, ma questo ne fa un brano del tutto anomalo rispetto alla scarica di esasperazioni del ritmo inscenata da Alberto Balboni, mentre Michele Malaguti arranca e si perde in una selva di psichedelia, noise e derive inquietanti. È anche il pezzo più calmo, rispetto alle vulcaniche esternazioni sonore del duo. In “Crudo” forse la matrice jazzcore e quella math sono i due elementi certi di questa sorta di jam che obbedisce a delle regole che certamente esistono, magari poi i due musicisti le occultano o forse loro stessi barano e senza il minimo ritegno.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10